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'L'Eco della Serva'
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Laminatoio a caldo e “giornalismo” a freddo.
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Trieste Verde. A cosa diciamo no!
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Circolo Miani » News Correnti » Page 233

Villa Haggiconsta di viale Romolo Gessi non è che l’ultima.

» Inviato da valmaura il 27 September, 2019 alle 1:35 pm

La bellissima villa con il suo rigoglioso giardino che si affaccia su viale Romolo Gessi sta per essere messa in vendita dal Comune. L’ha ricevuta oltre dieci anni fa dalla Regione con la destinazione di mantenere in essere il suo ruolo di sede delle associazioni che si occupano di “disabilità gravi”, ma non fa niente.
Il Comune l’ha lasciata marcire per anni chiusa senza fare i basilari interventi di manutenzione ch
e ora costerebbero, è sempre la Giunta comunale a dirlo, “tre milioni che il Comune non ha”. E dunque venderla a privati, senza vincolo ovviamente, è l’unica soluzione.
Intanto cominciamo con il dire che in un paese serio i soldi per gli interventi di riatto dovrebbero essere tirati fuori da tutti gli amministratori pubblici passati in questi anni come responsabili in solido, ovvero con il proprio patrimonio personale, del danno, anche erariale, patito dalla costruzione e dal suo proprietario il Comune di Trieste, per aver permesso un simile degradarsi della Villa.
Ma come dicevamo all’inizio la politica del “pubblico” in questi anni, diciamo a partire dalla metà degli anni Novanta in poi, è stata quella di vendere ed alienare i beni (immobili ed aree) in proprio possesso con l’intento di “fare cassa”, poca per la verità viste le svendite a prezzo di saldo e l’ultimo caso, quello di palazzo Carciotti, ne è l’emblema. Scelta dovuta non solo e tanto alla mancanza di fondi ma soprattutto alla mancata volontà della politica di assumersi responsabilità dirette e dall’assenza di un progetto di città che sia anche lontanamente diverso dagli affari dei privati.
Ora viene alla luce anche il caso del Mercato Coperto di Barriera, prossimo ad essere affidato alla gestione privata dopo che il Comune ha appena speso un quarto di milione per rimetterne a posto gli ambienti interni.
Perché dunque non chiamare le cose con il loro nome: scandalosa incapacità (dalla caserma di Roiano, alla galleria di Montebello passando per il crollo della Piscina terapeutica ma l’elenco è infinito) oppure “il Sacco di Trieste” portato avanti da una politica, praticamente tutta, della quale non si distingue più alcun confine con il “partito degli affari”.



Questa è bella !

» Inviato da valmaura il 26 September, 2019 alle 2:56 pm

Ci mancava proprio un assessore regionale all’ambiente favorevole al nucleare.

Non finiscono mai di stupire, ma un po’ è anche colpa nostra che dopo quasi un anno e mezzo ci saremmo dovuti abituare alle uscite estemporanee di questa Giunta regionale. Dopo la propaganda del Referendum sul maggioritario secco, che già sanno, ma fa niente, verrà respinto dalla Suprema Corte, ci tocca ora assistere ad un assessore regionale all’ambiente (tutto in minuscolo, per carità!) che fa da apripista all’ultima ideona targata Fedriga. Quella cioè di far entrare la Regione FVG nella società di gestione della vetusta Centrale nucleare slovena di Krsko che qualche benpensante progetta pure di raddoppiare, a poco più di 100 chilometri da Trieste.
Le studiano proprio tutte visto che in Europa, dalla Germania alla Francia, si è deciso di chiudere tutte le centrali nucleari esistenti entro pochi anni.
Se proprio stanno male e decidono di optare per la scelta, ora legittima, della “buona morte” si prendano su e vadano a farla finita in Svizzera ma non costringano i cittadini del Friuli Venezia Giulia ad esporsi al rischio di una pessima morte non desiderata e non voluta. Che il ricordo di Chernobyl è ancora ben vivo da queste parti e Krsko è dannatamente più vicina.




Trieste e noi.

» Inviato da valmaura il 25 September, 2019 alle 11:54 am

Ora anche i pigmei microcefali, o se preferite il “rocchiano” mone, hanno capito che nella nostra terra, quella che calpestiamo ogni giorno e dove viviamo, da una ventina d’anni perlomeno, con una forte accelerazione negli ultimi, il clima, insomma il tempo, la vita è cambiata. Ed in peggio.

Non occorre entrare nei particolari che li viviamo sulla nostra pelle.

Basta guardare un TG e leggere i titoloni dei giornali per sapere che il cambiamento è planetario.

Lasciamo perdere i vari Trump che nemmeno un Tornado a settimana riesce a far rinsavire, o i Bolsonaro che andrebbe deferito di corsa al Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità.

Semplicemente la terra sta raggiungendo il punto di non ritorno, oltre al quale non sappiamo cosa di disastroso ci aspetta e di quanto tempo ci rimane da vivere o meglio sopravvivere.

Dite che siamo catastrofici? No, siamo semplicemente realisti ed usiamo il cervello per pensare.

Bene, ma cosa possiamo fare noi qui a Trieste o se volete nel condominio (un milione e duecentomila abitanti) della Regione FVG?

Tante piccole cose che ci permetterebbero di stare meglio da subito e di dormire sereni con la consapevolezza di aver fatto quello che è nelle nostre possibilità.

Fare cortei e manifestazioni serve sempre ed è utile: per esercitare pressione sulle caste dirigenti, che creperanno comunque anche loro, e per sensibilizzare un’opinione pubblica dalla memoria assai corta, con la stampa che ci troviamo in casa poi ...

Ma veniamo a noi, a partire proprio dal Comune, che è il primo organo di governo, si fa per dire visti i deludenti risultati degli ultimi lustri.

Aderire alla carta dei Comuni, come annuncia tronfia l’assessora Polli, contro l’emergenza climatica non serve una beatissima mazza se non si applicano da subito le azioni conseguenti.

Buttiamo lì alcune idee, non nuovissime per la verità e già sperimentate con discreto successo in altre città: Udine per esempio, tanto per stare vicini.

Immediata variazione del piano regolatore comunale con l’inserimento vincolante del “mattone, o cemento, zero”. Ovvero in un territorio piccolissimo e congestionato, dalle particolari e forse uniche conformazioni morfologiche, che ad oggi ha il non invidiabile primato della crescita cementificatoria ed edilizia, pur avendo per scandaloso contrasto il più alto numero di case, abitazioni ed edifici sfitti ed abbandonati da tempo, pubblici e privati (capaci di ospitare una comunità pari ai residenti dell’intero Comune di Muggia).

Andrebbe senza esitazione spostata l’attuale attività edilizia dal costruire il “nuovo” a recuperare il “vecchio”, magari dettando da un lato alcune indicazioni che puntino a favorire una urbanistica Green e di alto risparmio energetico, ed incentivando i privati, anche economicamente, ad aderire al piano.

Verde pubblico e privato. Liquidiamo subito il secondo con lo scrivere che andrebbe puntualizzata meglio quella parte dell’attuale Regolamento sul verde urbano che impone l’obbligo ai privati di chiedere autorizzazione preventiva al Comune per abbattere alberi e zone verdi nelle loro proprietà subordinando la stessa ad un’effettiva, e soprattutto competente, ispezione peritale.

E veniamo alla nota dolentissima del Verde pubblico.

Le ultime amministrazioni si sono distinte in una politica dissennata di abbattimenti di alberi, anche quando non sussisteva ragione alcuna di pericolosità (vedi per tutti gli ingiustificati e gratuiti abbattimenti in piazza della Libertà-Largo Santos) e ad una pessima cura dei giardini e delle aree verdi. Ovvia conseguenza della scellerata scelta fatta a partire dalla fine degli anni Novanta di desertificare il personale comunale addetto, “esternalizzando”, che brutta parola, a ditte e cooperative esterne di dubbia professionalità nel campo, ed i risultati si vedono, e che spesso si avvalgono di mano d’opera dequalificata e sottopagata.

Dunque andrebbe da subito invertita la tendenza con due priorità: l’immediata riqualificazione del Servizio Verde Pubblico e la riassunzione selettivamente qualificata del personale necessario a riportare in capo diretto al Comune la cura e manutenzione del verde cittadino. L’avvio di una immediata campagna di implementazione della piantumazione di alberi e arbusti negli spazi liberi a disposizione. Anche su questo basterebbe seguire l’esempio della vicina Udine.

Ovviamente ciò prefigura come necessaria anche l’assunzione di tecnici e dirigenti che forti dei loro aggiornati studi in botanica ed agronomia non “vivano” dietro una scrivania di Palazzo Cheba ma operino sul campo.

Una operazione che alla fine porterebbe, oltre agli sperati e positivi risultati, anche un risparmio economico per le casse comunali rispetto all’attuale sistema degli appalti esterni.

A questo andrebbe aggiunto un efficace servizio di custodia e l’installo di adeguati servizi igienici nelle aree di maggior frequentazione. E per capirne il perché non occorre essere Pico della Mirandola.

Alla fine basterebbe ricordare che per svilupparsi pienamente un albero ci mette una trentina di anni, mentre per abbatterlo basta un’ora, per edificare un grattacielo ne bastano due, di anni.

Ecco questo potrebbe e dovrebbe fare da subito una amministrazione, poi ci sarebbero anche tante altre “piccole” cosette che qui tralasciamo per brevità, che voglia intervenire con i fatti, che a parole sono bravi tutti: perfino la Polli, per dare il suo concreto contributo a rallentare l’emergenza climatica.

Nella seconda foto (Pagina Facebook Circolo Miani) una impressionante foto satellitare della Foresta Amazzonica devastata dagli incendi (zone rosse nell’immagine).




FERRIERA. Giornalismo all’amatriciana.

» Inviato da valmaura il 20 September, 2019 alle 12:29 pm

Ma anche il sindacato non scherza.

Ieri articolone in bella evidenza su Repubblica, che pure ha il piccolo giornale nel suo gruppo editoriale.
Già il titolo è tutto un programma.
“Lega-M5S, patto anti acciaio: stop all’altoforno di Trieste, in bilico 400 posti”, vabbè sarebbero 350, che poi nel testo del pezzo firmato dal meritorio Marco Patucchi lievitano a 600.
Ovviamente che alla Ferriera non si produca più acciaio dal 2004 è un dettaglio che non lo sfiora.
Promuove sul campo il Ministro Patuanelli a ex “consigliere regionale” pentastellato, era stato invece solo consigliere comunale (in coppia con Menis su 41 eletti ed in sparuta opposizione).
Per inciso gli investimenti sul Laminatoio annunciati al Mise dal Gruppo Arvedi scendono di un terzo, grazie sempre a Patucchi, passando dai 150 milioni annunciati a “100”, ma forse avrà canali preferenziali con la proprietà che il “raggiante” Scoccimarro ed il suo dante causa e stipendio Fedriga evidentemente non posseggono.
Poi in finale a chiudere in bellezza fa parlare un sindacalista della Fiom CGIL che dichiara, riuscendo a rimanere serio, che “L’Italia perderà ulteriore produzione di acciaio, 400 mila tonnellate l’anno”. Dove l’ha letta non si sa, visto che l’acciaio è prodotto a Cremona appunto dalle Acciaierie Arvedi, che poi lo spedisce a Trieste per essere lavorato nel Laminatoio che non corre il rischio di essere chiuso ma anzi implementato.
Che l’Altoforno più Cokeria servano a produrre ghisa, economicamente in perdita rispetto ai prezzi di mercato (è sufficiente leggere i bilanci FinArvedi) e che lo stesso Arvedi fin dalla sua venuta a Trieste avesse messo in conto la possibilità di chiudere l’Area a caldo (bastava che il Patucchi si leggesse gli articoli pubblicati allora sul piccolo giornale di casa Finegil oggi Gedi) e che oggi la proprietà sia in trattativa per vendere vantaggiosamente l’area agli investitori nel progetto di raddoppio del Porto di Trieste, non turba minimamente la serenità del giornalista di Repubblica (deve essere un virus che spopola nel “giornalismo” triestino e italiota).
Ma l’importante per il giornalista “economico” di Repubblica è sparare ad alzo zero contro la nuova vecchia alleanza 5Stelle-Lega, soprattutto per colpire i primi, modello Sallusti-Feltri.
“Il patto anti acciaio”, giocando, che raffinatezza storica, sull’assonanza con il nazifascista “Patto d’acciaio”, lo definisce nel titolo.
Giusto per capire: chi dei due interpreta Adolf Hitler e chi Benito Mussolini?
Chi invece incarna Goebbels e il Ministro del MinCulPop è chiarissimo a tutti.




FERRIERA. Non ci resta che ridere.

» Inviato da valmaura il 19 September, 2019 alle 1:17 pm

La montagna del Mise non ha partorito nemmeno il classico topolino.

Dalla gita a Roma escono due conferme.
La prima. Che Arvedi ha il pallino in mano e ieri ne hanno semplicemente preso atto.
Sarà la proprietà, Acciaierie Arvedi con la controllata Siderurgica Triestina che da un anno e passa si occupa solo della logistica portuale (banchina interna stabilimento) ma che giornalisti e politici non hanno ancora afferrato, a decidere tempi, modalità e prezzo della dismissione, non “graduale” perchè gli impianti o si chiudono oppure no.
Non a caso la politica, con stampa al seguito, usa il verbo al condizionale “dovrebbe entro la fine del 2021”.
La seconda. Che quando noi scrivevamo due anni orsono che l' Area a caldo della Ferriera chiuderà su scelta di Arvedi non prima di tre-quattro anni avevamo azzeccato in pieno. Avessimo la stessa capacità nel vincere un Sei al SuperEnalotto …..
E che la chiusura passerà attraverso il Porto di Trieste.
Ed infatti anche ieri dalla “montagna” romana è uscita netta la notizia che il vero protagonista, oltre ad Arvedi si intende, è Zeno D'Agostino. Gli altri a partire dai politici, tutti nessuno escluso, sono solo delle comparse di quarta fila che nei fatti oggi, come negli altri precedenti venti e passa anni, non hanno fatto e prodotto nulla, ma proprio nulla di concreto.
E se il futuro degli attuali lavoratori coinvolti (350 come abbiamo sempre scritto e non i 600, 1000, 2000 e chi più ne ha più ne metta, come cianciavano politici, sindacalisti e acriticamente riportavano questi “giornalisti” un tanto al chilo) rimanesse affidato a questa politica allora saranno tempi assai bui per loro.
Dunque non occorreva spedire a Roma un “inviato” per sapere un tanto. Bastava dedicare una pagina di intervista al Presidente della nostra Autorità Portuale.
Poi c'è l'ilarità che non guasta mai, anzi di primo mattino mette pure di buon umore. Dal “raggiante” assessore Scoccimarro che si offre di correre a Cremona, che notoriamente non fa parte della Regione Friuli Venezia Giulia per mettere mano alla “revisione dell'AIA” rilasciata all'attuale proprietà. Forse ignora il “raggiante” che per procedere al rilascio, alla decadenza o come in questo caso alla revisione dell'attuale AIA, non a Cremona deve recarsi ma nel Palazzo di Piazza Unità per proporre alla Giunta regionale una delibera in merito. Prima può correre anche alla maratonina di New York. Dopo di che, e solo allora, scatteranno i termini di legge e le procedure per la presentazione delle memorie e perizie di tutti gli attori coinvolti (Regione, Comune, Arpa, Ass, proprietà e realtà esterne “portatrici di interesse”, anche singoli cittadini) e la convocazione di una Conferenza dei Servizi Regionali, del Friuli Venezia Giulia non della Regione Lombardia, e sempre negli uffici regionali a Trieste. Ma avendo sempre e solo avuto una comparsata nella vicenda e vivendo “sottotraccia” è comprensibile che non lo sappia. Meno comprensibile che i cittadini gli paghino una lauta indennità, e la cosa vale anche per Fedriga e per tutti gli altri “regionali” che parlano solo per arieggiare i denti.
Altra battuta degna del miglior Totò o Fantozzi la sforna il podestà di Trieste quando rivendica la “coerenza” ventennale del Comune nel voler chiudere la Ferriera. Come no! Da “quel cancro lo chiudo domani” del 2001, al “ho fatto Bingo con Arvedi a Trieste” nel 2007, per finire con il mitico “chiudo in 100 giorni” del 2016. Coerente l'uomo, nevvero? Quasi quanto sulla vicenda del Rigassificatore che lui fortemente voleva, così giusto per affossare definitivamente il Porto.
Poi arriviamo alla cosa grave e che magari nella lunga colonnina di fianco nelle due paginate del piccolo giornale che abbiamo la malasorte di avere a Trieste può passare inosservata. Ed invece no, perchè fa capire da chi e come siamo stati governati ed a chi, pur pagandoli bene, abbiamo affidato la nostra salute in questi due decenni.
Cominciamo: “La centrale è infatti alimentata dai gas prodotti dall’altoforno, grazie ai quali sprigiona una potenza di 164 megawatt”. Vero una mazza: la centrale usa principalmente i gas di risulta della Cokeria (dieci volte più “ricchi” di quello dell'Altoforno) e produce da tempo una trentina di megawatt, cioè l'energia elettrica per il solo uso e consumo della Ferriera.
Ma il peggio deve ancora arrivare. “Nel corso della riunione, i tecnici della Regione hanno evidenziato come la legge preveda la riduzione dell’utilizzo delle fiaccole di emergenza, che al momento vengono sfruttate anche per la manutenzione ordinaria e non solo per gli eventi accidentali, quando sono chiamate a bruciare i gas che la centrale non riesce a utilizzare in caso di blackout. Da qui la richiesta di contenere l’utilizzo dei dispositivi, innocui ma fortemente impattanti sul piano visivo.”
Avete letto bene? “Innocui ma fortemente impattanti sul piano visivo”. Ma questi li hanno assunti alla “Prova del Cuoco”? Come anche uno studente al primo anno di chimica sa, e pure il Barbieri sempre che le consulenze non prevalgano su “scienza e coscienza”, quello che le torce bruciano, dopo i primi minuti di fumate nere incombuste, sono i letali gas. “Innocui”? Li respirino loro a pieni polmoni e poi ne parliamo leggendo le loro disposizioni testamentarie. Eppoi ha capito, signora marchesa, sono purtroppo “fortemente impattanti sul piano visivo”, pofferbacco ci metteremo dei gerani davanti, o meglio dei crisantemi. Una sola domanda: perchè la legge avrebbe imposto la riduzione e l'uso delle Torce, se sono “innocue”, per un puro fatto estetico?
E chi riporta sul giornale tali sciocchezze lo hanno selezionato ovviamente al MasterChef.

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