» Inviato da valmaura il 15 December, 2019 alle 12:58 pm
Si, parliamo proprio di cessi, non intesi come politici stavolta, ma proprio di gabinetti, vespasiani o come preferite chiamarli. Prendiamo spunto dalla ridicola discussione che si è presa mezza seduta dell'augusta assise consiliare del Comune di Trieste, su input del Cinque Stelle Paolo Menis, sulle multe alle minzioni canine. A questi, se proprio viene in mente di discettare di deiezioni, utile sarebbe ricordare che a Trieste, “città turistica”, praticamente non esistono servizi igienici pubblici, o vespasiani che dir si voglia, dove gli “umani” possano espletare gratuitamente i propri bisogni corporali, turisti o nostrani che siano (bisogni ed umani). Va bene multare gli urinatori ed i defecatori abusivi, sempre che essi abbiano delle alternative legali, esclusa quella di farsela addosso. Orbene le nostre amministrazioni civiche in tanti anni, non è solo problema dell'attuale che è tra le peggiori anche nel campo fecale ed urinario, non hanno saputo né voluto risolvere la civile questione, e non è che poi ci voglia molto. Dunque ci sono poi delle priorità nella scala corporale. Ad esempio ci sono luoghi come i giardini e le aree verdi attrezzate per i giochi dei bimbi: i primi che ci vengono in mente sono Piazzale Rosmini e Viale Romolo Gessi, assai frequentati da centinaia di virgulti che sgambettano e corrono per ore, stimolando, è un fatto puramente meccanico, la peristalsi urinaria ed intestinale. A questi vanno aggiunti i loro accompagnatori, genitori o per lo più nonni, talvolta se non spesso incontinenti. Sembra mai possibile che in decenni chi amministra non si sia posto il problema? Esatto !!! Morale della favola in certe giornate di calma piatta, e non solo con la calura estiva, passeggiare in certi vialetti, ad esempio a fianco delle giostre in viale Romolo meglio noto come Cessi, insomma a fianco e dietro la bucolica Baita in legno, prende alla gola. Il tanfo di urina umana e di feci giovanili toglie il fiato, soprattutto nelle giornate in cui i radi esercizi pubblici nelle vicinanze sono chiusi. Eppure le infrastrutture ci sono ed i più anziani ricordano che una volta, tanti decenni orsono, c'erano pure i vespasiani. E allora? E' mai possibile che in questa città si sappia solo vietare e multare, con sanzioni del tutto sproporzionate (500 euro a chi piscia, incivilmente ma forse bisognosamente, per strada e 1000 euro di sanzione giudiziaria alla vecchia proprietà della Ferriera per le emissioni inquinanti fuorilegge), e non si è minimamente capaci di fare quello che quasi duemila anni fa fece l'imperatore Vespasiano a Roma? Va bene che l'urina è sterile e in certi casi emergenziali si può anche bere, dai naufraghi a Marco Pannella, e che quella dei bambini è “acqua santa”, ma prendersela con quella dei cani senza risolvere il problema che sta a monte ….. insomma è come parlare della pagliuzza ignorando la trave. Ecco contraddicendoci alla fine siamo finiti a parlare dei cessi e degli insuccessi politici. Vatti a fidare!
Trieste. Il “lavoro” della politica.
» Inviato da valmaura il 14 December, 2019 alle 1:21 pm
Dalla pipì dei cani, da multare e ci mancherebbe, a Villa Haggiconsta.
Si vede che Trieste non ha altri problemi che tirare notte in Consiglio Comunale su una questione di vitale importanza per la città: multare i proprietari dei cani (a Trieste oltre 25.000 concittadini) per le minzioni, insomma la sterile pipì, dei loro animali. Menis, 5Stelle, docet. Ora forse i consiglieri che discettano di questo modo originale di fare “cassa” attraverso l’insostituibile operato dei sempre vigili Urbani (è per questo infatti che li hanno dotati di pistole, per affrontare il bassotto feroce) neppure sanno che un cane maschio, adulto perché se cucciolo i numeri vanno raddoppiati, minziona circa una ventina di volte (il più poche gocce) durante ogni sua passeggiata. Per le femmine si dimezzano le soste ma lo sversato rimane sostanzialmente uguale. Dunque bisognerebbe che i proprietari girassero con una botte al seguito per diluire “l’acqua benedetta”. Ora invitare i proprietari degli amati amici a non far loro urinare sulle ruote delle auto o sui portoni è cosa sacrosanta, e più volte fatta in questi ultimi cinquanta anni, ci teniamo stretti, e dunque non si capisce il senso, se non in qualche sogno represso, di dedicare a questo l’onore di una mozione in Consiglio comunale con tanto di sanzioni pecuniarie al seguito. E poi si chiedono perché il Movimento Cinque Stelle perda voti in continuazione. L’altro psicodramma su cui l’assise più alta del nostro Comune ha discettato fino a notte fonda è la questione di Villa Haggiconsta: si vende si o no? A tale scopo riproponiamo uno degli ultimi articoli da noi scritti in merito, e che evidentemente deve essere sfuggito ai nostri luminari della politica. Più uno spassionato consiglio: si richiudano nel bagno a fare una liberatoria pipì, così forse l’ansia di non fare una beneamata mazza passerà e, mi raccomando, si ricordino di farla “dentro” e soprattutto di tirare l’acqua. Amen.
Villa Haggiconsta di viale Romolo Gessi non è che l’ultima. La bellissima villa con il suo rigoglioso giardino che si affaccia su viale Romolo Gessi sta per essere messa in vendita dal Comune. L’ha ricevuta oltre dieci anni fa dalla Regione con la destinazione di mantenere in essere il suo ruolo di sede delle associazioni che si occupano di “disabilità gravi”, ma non fa niente. Il Comune l’ha lasciata marcire per anni chiusa senza fare i basilari interventi di manutenzione che ora costerebbero, è sempre la Giunta comunale a dirlo, “tre milioni che il Comune non ha”. E dunque venderla a privati, senza vincolo ovviamente, è l’unica soluzione. Intanto cominciamo con il dire che in un paese serio i soldi per gli interventi di riatto dovrebbero essere tirati fuori da tutti gli amministratori pubblici passati in questi anni come responsabili in solido, ovvero con il proprio patrimonio personale, del danno, anche erariale, patito dalla costruzione e dal suo proprietario il Comune di Trieste, per aver permesso un simile degradarsi della Villa. Ma come dicevamo all’inizio la politica del “pubblico” in questi anni, diciamo a partire dalla metà degli anni Novanta in poi, è stata quella di vendere ed alienare i beni (immobili ed aree) in proprio possesso con l’intento di “fare cassa”, poca per la verità viste le svendite a prezzo di saldo e l’ultimo caso, quello di palazzo Carciotti, ne è l’emblema. Scelta dovuta non solo e tanto alla mancanza di fondi ma soprattutto alla mancata volontà della politica di assumersi responsabilità dirette e dall’assenza di un progetto di città che sia anche lontanamente diverso dagli affari dei privati. Ora viene alla luce anche il caso del Mercato Coperto di Barriera, prossimo ad essere affidato alla gestione privata dopo che il Comune ha appena speso un quarto di milione per rimetterne a posto gli ambienti interni. Perché dunque non chiamare le cose con il loro nome: scandalosa incapacità (dalla caserma di Roiano, alla galleria di Montebello passando per il crollo della Piscina terapeutica ma l’elenco è infinito) oppure “il Sacco di Trieste” portato avanti da una politica, praticamente tutta, della quale non si distingue più alcun confine con il “partito degli affari”.
Trieste. Inquinamenti marittimi.
» Inviato da valmaura il 13 December, 2019 alle 10:57 am
Parliamoci chiaro, basta vedere il grafico pubblicato qui sotto, contributo di un nostro gentile lettore, per capire la gravità del problema. Perchè allora strombazzare di “emergenza clima”, plaudere e corteare con Greta, riempirsi la bocca (tutti i partiti) di “politica green”, se poi non si è in grado di risolvere concretamente una beata, e tutto sommato piccola, mazza, è una ben triste ipocrisia sulla pelle di tutti, anche degli imbecilli che ci sfanculano come sopra.
Appare chiaro che i provvedimenti più efficaci non possono che essere presi a livello statale (ministro all'Ambiente Costa se ci sei batti un colpo) e soprattutto europeo.
Ovvero applicare i trattati internazionali solennemente firmati, ed altrettanto sollecitamente disapplicati, sulla drastica riduzione del CO2 per fermare l'innalzamento esponenziale della temperatura della Terra con tutte le ben note conseguenze del caso.
Ma veniamo a Trieste e Regione FVG, che magari potrebbe ricordarsi della sua autonomia speciale per cose serie e non per bischerate, e all'Autorità Portuale.
Se legiferare sui limiti e sui cambiamenti di carburante per navi ed aerei spetta appunto a Stato e UE, intanto gli enti locali potrebbero realizzare da subito alcune cose.
Intimare a tutte le navi di crociera e mercantili che attraccano nei porti regionali, in particolare Trieste, di spegnere i motori una volta in banchina e di utilizzare l'energia elettrica, i cui terminali per l'allacciamento devono ovviamente essere predisposti da terra, per alimentare servizi ed operazioni di bordo.
Spostare il traffico crocieristico all'interno del perimetro del Porto Vecchio, e per le navi maggiori al Molo Settimo o piattaforma Scalo Legnami, liberando così le Rive dall'onere di pulmann e di riduzione parcheggi.
I costi per gli eventuali lavori infrastrutturali vanno coperti dalla TTP, dalla Siot e dagli armatori privati adeguatamente incentivati, oltre che dagli enti pubblici in particolare l'Autorità Portuale.
Non ci sembra cosa difficile da pensare, anche per i politici nostrani, e realizzare, e magari in tempi solleciti.
» Inviato da valmaura il 12 December, 2019 alle 1:20 pm
Della serie: Marchese del Grillo. “ Perchè io sò io e voi non siete un c...o”.
Due domande due. Al Presidente dell'Autorità Portuale del Nord Adriatico, insomma a Zeno D'Agostino, reputato persona capace. Perchè non invita, è un eufemismo, perentoriamente gli operatori navali mercantili e turistici ad adottare le misure esistenti atte al contenimento delle emissioni nocive nelle navi che fanno scalo a Trieste? Ad iniziare da quelle che attraccano alla Stazione Marittima ed al Pontile Siot, la cui proprietà non cessa di auto incensarsi costantemente sulla stampa locale supina e prona, a novanta. Mentre da anni ammorba il nostro territorio con i fumi di petrolio. E come mai vista attualità ed importanza della questione per la nostra comunità il baldo e coraggioso giornalismo nostrano, quello modello “cane di guardia” dei cittadini che al confronto il chihuaha di Paris Hilton sembra una belva feroce, non apre bocca pur con tutti i convegni e gli “speciali” che organizza su Porto e Turismo? Il silenzio della politica non ci stupisce: ignoranza e soldi spiegano tutto. Quanto al silenzio delle “voci dei padroni”, capiamo che il potere economico e promozionale degli armatori è rilevante e che la pubblicità è tutto, quando le vendite sprofondano, e soprattutto quella pagata quasi giornalmente delle ditte di pompe funebri, da una volta di più la misura dell'informazione, scusate la bestemmia, scritta e televisiva locale. Per chi volesse approfondire. TERRA E ACQUA Chi viaggia sulle imbarcazioni inquina fino a 5 volte in più rispetto a chi si muove su strada : 139mln Tonnellate di Co2 L’effetto della mobilità via mare nel continente nel 2018. Co2, navi peggio delle auto Per MSC il record europeo. IL RAPPORTO SUL CLIMA. La flotta di Gianluigi Aponte è al primo posto per anidride carbonica. I “gas serra” prodotti dal trasporto marittimo nel Belpaese eguagliano il traffico di Roma, Milano, Torino e Bologna. L'italo–svizzera Mediterranean Shipping Company (Msc) è la campionessa marittima del cambiamento climatico nell’UE. Le sue 362 più grandi navi–cargo emettono 11 milioni di tonnellate di CO2 (il più diffuso gas a effetto serra), più di qualsiasi altra società navale europea. La 2ª più grande compagnia porta–container al mondo si aggiudica l’8º posto nella top 10 dei maggiori inquinatori d’Europa. L’azienda, fondata nel ’70 a Napoli dall’imprenditore Gianluigi Aponte e oggi basata a Ginevra, gareggia con le peggiori centrali termo–elettriche a carbone e sovrasta Ryanair che si colloca al decimo posto. Contrariamente a quanto previsto per gli impianti di produzione energetica, l’UE non obbliga tuttavia MSC e le altre compagnie navali (neppure quelle aeree) a ridurre le loro emissioni, indebolendo di fatto i propri sforzi per contrastare il riscaldamento globale. IL RECORD DELLA MSC è sancito dal rapporto della Ong Transport & Environment, ottenuto in anteprima dal FattoQuotidiano. L’analisi si basa sui dati che, a partire dal 2019, le società di navigazione devono comunicare all’UE. Il regolamento adottato nel 2015 impone loro di monitorare e pubblicare ogni anno i consumi di carburante e i volumi di CO2 per l’insieme delle tratte effettuate sia all’interno dello Spazio Economico Europeo (UE più Norvegia, Islanda e Norvegia) sia tra questo e i porti dei Paesi d’oltreoceano. Tale obbligo copre tutte le imbarcazioni con una stazza lorda superiore alle 5.000 tonnellate. Nel 2018 (primo anno di riferimento) il settore marittimo europeo, merci e passeggeri insieme, ha riversato nell’atmosfera circa 139 milioni di tonnellate di CO2 (più del trasporto automobilistico, secondo il report della Ong). Quasi il 10% proviene dalle navi in entrata e uscita in Italia, una percentuale equivalente a tutto il gas a effetto serra del traffico urbano di Roma, Milano, Torino e Bologna. Rispetto alla media dei passeggeri stradali, quelli che s’imbarcano sulle navi da viaggio (come MSC Crociere, 4º gruppo mondiale nel settore turistico) sporcano l’aria fino a 5 volte in più. E addirittura 6 volte in più se si considerano i più stringenti standard ambientali che si applicheranno alle vetture dal 2021 in poi. LA STRAGRANDE maggioranza della CO2 (oltre l’80%), infatti, è riversata dal trasporto marittimo di container merci. Questo, sviluppatosi nei primi anni ’50, è più che triplicato dal 2000, incrementando le sue emissioni nell’UE di 26 milioni di tonnellate (il 19% in più) dal 1990 a oggi. A primeggiare nel mercato mondiale dei container, nonché nell’inquinamento atmosferico nel Vecchio Continente, sono appunto le società europee. Le prime quattro (oltre a Msc, ci sono Maersk, Cma Cgm, Hapag-Lloyd) totalizzano la metà delle emissioni complessive del settore cargo, il cui 42% è imputabile al trasporto di beni di consumo. Per farci recapitare via mare smartphone e tv, automobili, vestiti, frutta e cibi surgelati, medicine, mobili, e altri articoli di uso quotidiano, contribuiamo annualmente a un rilascio di quasi 60 milioni di tonnellate di CO2. Un volume pari alle emissioni di tutte le 38 milioni di autovetture italiane. Il trasporto di carburanti (petrolio, carbone, gas) e di materie prime per l’industria contribuiscono invece al 20% della CO2 marittima del l’Ue. La metà delle flotte cargo europee ha messo 22 milioni di tonnellate in più a causa del divario di prestazione ambientale tra le operazioni in mare e gli standard di progettazione delle imbarcazioni. Una serie di asimmetrie legislative fanno si che il trasporto navale remi contro la lotta al cambiamento climatico. DA UNA PARTE, l’UE accorda al settore 24 miliardi di euro all’anno in agevolazioni fiscali per i combustibili fossili. Dall’altra non lo ha ancora inserito nel sistema di scambio di quote di emissioni (Eu Ets), in base al quale le aziende altamente inquinanti devono rispettare determinati tetti di CO2. Ciascun operatore ha due modi per rimanere entro la soglia massima: o taglia le proprie emissioni in eccesso investendo in tecnologie ed energie più pulite oppure le compensa comprando crediti (o permessi di inquinare) corrispondenti ai quantitativi di CO2 tagliati da altri operatori. Le compagnie navali europee, attualmente, non devono adottare né l’una né l’altra opzione, potendo quindi continuare a costo zero e non avendo alcun incentivo a passare a carburanti e motori ecologici. Per oltre 20 anni, l’Ue ha tentato inutilmente di assoggettarle all’Eu Ets, negoziando in seno all’Organizzazione Marittima Internazionale l’estensione di un sistema simile a tutto il mondo per evitare di penalizzare le proprie flotte rispetto alla concorrenza estera. Lo stesso Protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico, firmato nel ’97, chiedeva di trovare una soluzione per il trasporto marittimo. Nel 2018 si è giunti a un accordo su un piano d’azione globale che, però, non si è ancora tradotto in azioni concrete. Il neopresidente eletto della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato di voler rimediare. Tutto da vedere. *MobileReporter/European Data Journalism Network
Trieste. Navi “bianche” o navi “nere”?
» Inviato da valmaura il 11 December, 2019 alle 12:31 pm
Riceviamo da Giorgio Iaksetich e volentieri pubblichiamo.
Il recente aumento degli arrivi delle grandi navi da crociera alla Stazione Marittima di Trieste viene sbandierato come una grossa conquista e un successo dovuto agli sforzi della Regione e del Comune volti a promuovere Trieste come polo turistico a livello regionale e nazionale. Inoltre è risaputo che le recenti problematiche emerse a Venezia a causa della presenza di queste navi hanno imposto il dirottamento di numerose navi verso Trieste. La presenza delle grandi navi da crociera viene presentata come portatrice di ricchezza per la città, non solo per gli aumentati introiti di Trieste Terminal Passeggeri ma anche per la presunta presenza di migliaia di turisti che, secondo alcuni, spenderebbero considerevolmente nei locali e nei negozi della città. La realtà è ben diversa. Mentre gli introiti per la TTP sono innegabili, i vantaggi per la città e gli esercenti sono solo presunti e non sono stati mai quantificati in maniera attendibile. Sta di fatto che, vivendo sulle Rive, ciò che balza all'occhio è che la quantità di turisti che oltrepassano le transenne e si avventurano in città è, a dir poco, esigua. La quasi totalità dei turisti, infatti, viene caricata sulle decine di autobus che affollano la zona parcheggi di fronte alla Stazione Marittima che li trasportano verso altre destinazioni. Sono pochissimi quelli che effettivamente spendono qualche ora in città. Parlando con gli esercenti delle Rive, nessuno segnala alcun incremento d'affari in concomitanza con la presenza delle navi, fatta esclusone per qualche caffè e birra consumati da qualche saltuario membro dell'equipaggio che scende a terra durante la sosta. Sarebbe quindi indispensabile a questo punto effettuare delle ricerche sistematiche e attendibili sull'effettivo ritorno che la presenza di queste navi ha sull'attività commerciale di Trieste. Sì, perché a fronte di questa presunta 'ricchezza', gli inconvenienti arrecati alla città dalla presenza di queste navi sono in realtà enormi. E' risaputo infatti che queste navi sono costrette a mantenere i motori accesi durante l'ormeggio per poter garantire i servizi di bordo che necessitano di una quantità enorme di energia. E' assodato anche (esiste una letteratura sterminata in materia) che una sola di queste navi inquina come milioni di automobili in quanto utilizza combustibili grezzi di infima qualità con un potere inquinante enorme. Mentre nel nord Europa e in America la regolamentazione per gli scarichi durante l'ormeggio è divenuta più stringente negli ultimi anni, imponendo alle compagnie che gestiscono le navi da crociera l'utilizzo di combustibili più raffinati durante l'ormeggio, nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo non esiste alcun controllo e la maggior parte di queste navi, per risparmiare, continua ad utilizzare durante l'ormeggio lo stesso combustile che viene utilizzato durante il viaggio. Ciò comporta un inquinamento altissimo delle aree prospicienti l'ormeggio, con dimostrate conseguenze sulla salute della popolazione delle aree portuali frequentate dalle grandi navi da crociera che riporta un'incidenza di forme tumorali e malattie delle vie respiratorie di gran lunga superiore a quella delle popolazioni di altre zone. All'inquinamento prodotto dalle navi si aggiunge quello causato dalle decine e decine di autobus che si assiepano nel parcheggio delle Rive e che mantengono i motori accesi per ore in attesa dei passeggeri. Durante una giornata senza vento, l'odore di idrocarburi presente nella zona attorno alla Stazione Marittima non ha bisogno di sofisticate misurazioni strumentali per essere rilevato. Infine, la continua chiusura dei parcheggi nell'area delle Rive causa dei disagi non indifferenti alla popolazione locale e ai turisti che arrivano a Trieste non per imbarcarsi su degli autobus, ma per spendere il loro tempo e il loro denaro in città. A fronte di tutto questo, è assolutamente indispensabile valutare con urgenza delle soluzioni volte a dirottare l'ormeggio delle grandi navi verso aree dove le conseguenze inquinanti e i disagi arrecati alla cittadinanza sarebbero meno devastanti, come per esempio il Porto Vecchio o altre aree del porto di Trieste. Un dirottamento in aree adeguatamente attrezzate e più lontane dal centro della città potrebbe in qualche modo risolvere il problema, evitando gli innegabili disagi che le navi arrecano, senza rinunciare agli introiti del TTP e del presunto indotto, che comunque rimane da quantificare in maniera accurata e attendibile. https://wp40.ilfattoquotidiano.it/…/smog-in-europ…/5233755/…