Nel prossimo secolo, il Borgo teresiano a Trieste sommerso dall'acqua potrebbe essere non un evento temporaneo ed eccezionale, ma un panorama consueto. Dovuto al riscaldamento globale e al connesso innalzamento del livello del mare.
A renderlo evidente sono i dati raccolti dai radar delle 36 stazioni idrometriche presenti lungo le coste italiane, che fanno capo all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Gli studi sulla serie storica più lunga, quella registrata nel porto di Genova, hanno permesso di stabilire che dal 1884 al 2006 l'aumento del livello marino medio è stato di 1,1 millimetri all'anno. Nel periodo 1999-2015, però, il valore è quasi triplicato, attestandosi sui 3,2 millimetri l'anno. A Trieste la situazione è ancora più preoccupante, perché l'innalzamento tendenziale del mare registrato «negli ultimi dieci anni è di 3,4 millimetri all'anno, leggermente superiore alla media globale di 3,3», spiega Florence Colleoni, glaciologa e paleoclimatologa dell'Istituto di Oceanografia e Geofisica (Ogs).
Un valore amplificato anche dall'effetto della subsidenza: «A Trieste e nell'alto Adriatico il suolo si sta progressivamente abbassando», dice infatti Colleoni, a causa «degli effetti di lunghissimo periodo dell'ultima glaciazione, ma anche delle nostre attività di costruzione e del pompaggio dell'acqua di falda».
Secondo gli scienziati dell'IPCC, l'organismo per la valutazione dei cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, anche con una riduzione consistente delle emissioni di gas serra da qui al 2100 il livello complessivo dei mari sarà più alto, in media, di 43 centimetri rispetto al periodo 1986-2005. In uno scenario in cui le emissioni resteranno elevate, invece, l'innalzamento sarà di ben 83 centimetri, ovviamente con grosse differenze tra le diverse aree del pianeta.
Questi modelli statistici, continua Colleoni, «si basano sullo studio di periodi passati della storia della Terra in cui le emissioni erano analoghe a quelle attuali, perciò sappiamo che nessuna delle ipotesi, neanche la peggiore, è fantascienza. Per il golfo di Trieste lo scenario migliore, che è anche quello compatibile con gli accordi di Parigi sulla riduzione delle emissioni, prevede un incremento medio dell'altezza del mare di 30 cm, in una forchetta il cui valore massimo è di 50 cm».
Cinquanta centimetri, però, sono anche il valore minimo della forchetta dello scenario peggiore: ciò significa, secondo Colleoni, «che alla fine del secolo ci possiamo aspettare sicuramente un mare più alto di circa mezzo metro». E che si moltiplicheranno i fenomeni «che abbiamo visto negli ultimi inverni: maree eccezionali e tempeste di scirocco che spingono il mare verso la città. Con un livello mezzo metro più elevato, ogni alta marea allagherà le zone basse del Borgo teresiano».
Una drastica riduzione delle emissioni di gas serra può ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici e quindi l'innalzamento del mare, dice Cosimo Solidoro, direttore della sezione di Oceanografia dell'Ogs, aggiungendo però che «gli oceani hanno un'inerzia molto elevata: invertire i processi in atto è difficile e richiede tempi lunghi». Oltre all'aumento del livello marino, gli effetti più macroscopici della crisi climatica sui mari sono la crescita della temperatura e l'acidificazione causata dalla dissoluzione di anidride carbonica. Fenomeni che determinano «un ambiente diverso: ad esempio, l'acidificazione rende più difficile la sopravvivenza degli organismi che hanno componenti calcaree, come i coralli, o dei bivalvi».
La zona dell'Adriatico settentrionale, spiega il professore, «è un "cul de sac" per le specie marine che fanno difficoltà ad adattarsi alle nuove condizioni, ma non possono emigrare più a Nord alla ricerca di acque meno calde, e quindi vanno in sofferenza. Viceversa, specie provenienti dalle acque più a sud o dal mar Rosso sono ora più comuni anche da noi, come testimoniano le sempre più frequenti segnalazioni di nuove specie: sardina africana, pesce coniglio, granchi melograno». Tra gli organismi marini più colpiti dagli effetti dell'aumento delle temperature, aggiunge l'oceanografo, ci sono «quelli adattati ad acque fredde, per esempio le cicale di mare, ma anche tutte le specie comuni con poca mobilità, come cozze e vongole».
C'è poi da considerare anche l'intensificazione degli eventi estremi: «Se l'aumento di mezzo grado o un grado della temperatura media magari può avere un impatto non tanto forte sugli organismi marini», conclude Solidoro, «gli eventi estremi prolungati, come le ondate di calore a cui abbiamo assistito quest'estate, provocano sicuramente conseguenze negative molto forti. E tutte le proiezioni ci dicono che questi eventi saranno sempre più frequenti e intensi». Ci troveremo insomma in un mondo molto diverso, a cui dovrà adattarsi anche la pesca: «le conoscenze accumulate in decenni di esperienza andranno adeguate a un ambiente mutato, e non è detto che ritmi e modi validi in passato potranno rimanere gli stessi».
Legenda: “acidificazione=Anidride Carbonica (Co2)=Gas Metano.