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Coop. Una storia ancora tutta da raccontare. Scritto da: Teodor Se, e sottolineo se, a Trieste esistesse una parvenza di giornalismo vero, per altro merce sempre più rara anche in Italia, in questi anni, diciamo almeno dal primissimo inizio degli anni 2000, sulla gestione e gli affari delle Coop di Trieste e Friuli (lasciamo perdere l’Istria che ha già sofferto troppo) sarebbero state scritte fior di inchieste giornalistiche, che il materiale non mancava, anzi sovrabbondava. Invece come sempre la cosiddetta informazione è andata, more solito, al traino della politica locale che è forse il peggio di quanto passi oggi come ieri il convento in Italia, il che è dire tutto. Quella politica che ha sempre controllato e gestito direttamente la più grande azienda commerciale di Trieste con oltre seicento dipendenti, più centinaia dell’indotto e con una catena di supermercati tradizionalmente piazzati in ogni quartiere con quasi la metà dei triestini a far lì la spesa. Come si diceva la politica ha sempre gestito direttamente, non c’era infatti consigliere d’amministrazione o direttore che non facesse direttamente riferimento ad essa, solitamente nelle persone di ex consiglieri comunali e provinciali a riposo forzato in quanto non più rieletti, le Cooperative Operaie. Fino alla metà degli anni ottanta era il PCI a farla da padrone ma sempre con un accordo di spartizione con la DC ed il PSI. Consuetudine voleva che ad un presidente comunista corrispondesse un direttore democristiano. Ed i 19 componenti del Consiglio di Amministrazione venivano ripartiti sostanzialmente tra comunisti, democristiani e socialisti, manuale Cencelli alla mano (non sapete cos’è? Cercatelo sui libri o via internet). Dopodichè, con gli anni novanta, ci fu una mutazione politica, ma gli uomini rimasero quasi sempre gli stessi, cioè furono loro semplicemente a cambiare partito, ed il controllo delle Coop passò sostanzialmente ad un ex esponente socialista condannato nella Tangentopoli triestina, Augusto Seghene, con l’entrata ufficiale nel CdA del centrodestra, nella sua componente ex democristiana. L’incarnazione fisica di questa metamorfosi fu per anni il direttore, ora in pensione, Marcello Canciani. Va anche ricordato che nelle inchieste di Mani Pulite locali, per altro all’acqua di rose, le Coop furono coinvolte solo marginalmente con l’amministratore Vattovani già consigliere comunale e regionale DC nella cui cantina di casa durante una perquisizione venne rinvenuta una vera e propria dependance dei magazzini della cooperativa. Lui allora si giustificò, o meglio tentò di farlo, dichiarando, da vero gentiluomo, che “alla spesa ci pensa mia moglie”. Da allora il peso dei comunisti e derivati divenne sempre più marginale fino al controllo assoluto del Consiglio di Amministrazione da parte degli uomini di Seghene, il presidente Marchetti insediatosi dieci anni orsono si vocifera non vada nemmeno in gabinetto senza prima telefonare all’ex compagno Augusto, la cui figlia è stata assunta alle Coop di cui è dirigente amministrativa. Va anche ricordato che le elezioni per il rinnovo del Consiglio di Amministrazione sono da anni una pura formalità: con un’unica lista di candidati “bloccata”. Insomma modello Bulgaria del compagno Popov. Ora cercheremo di spiegare come la politica abbia ridotto al fallimento una delle più floride e storiche aziende di Trieste che dà lavoro a centinaia di persone e che aveva pure una sua Cassa di Risparmio aziendale, quasi una piccola banca, con sportello in via Gallina in cui investivano i loro risparmi oltre quindicimila triestini, oggi preoccupati più che mai ed a ragione. Il disastro inizia con l’operazione Torri d’Europa ed è francamente inspiegabile. Fino ad allora i bilanci delle Coop erano in attivo, poi la vendita di tutta l’area tra le vie D’Alviano e Svevo, dove già sorgeva un supermercato Coop, alla Policentro dell’ing. Iemi. Il pagamento dell’operazione avviene in parte in natura (uno spazio commerciale molto ampio all’interno del nuovo ipermercato destinato a punto vendita delle cooperative operaie) ed in parte restante in soldoni. Dunque le Coop avrebbero dovuto guadagnarci e non poco. Ed invece già il bilancio successivo delle cooperative si chiude con un passivo di alcuni milioni. Un buco che nel corso degli anni, e si badi dopo l’acquisizione da parte delle Coop di una rete di punti vendita in Friuli, si amplia a dismisura fino ad arrivare alla cifra di quasi una quarantina di milioni portando le cooperative sull’orlo di un fallimento, che sta già nei fatti. Nel frattempo c’à la tanto discussa operazione Duino, con l’acquisto del complesso ex bar Bianco per intendersi, e la ristrutturazione e l’apertura di un nuovo grande punto vendita. Il tutto accompagnato da una politica dei prezzi che trasforma le Coop nella più cara rete di supermercati operante sul territorio triestino, in Friuli non sappiamo, e vari tentativi di riduzione del personale, prima nel magazzino poi nei punti vendita. Fino alla recente cacciata del direttore succeduto al Canciani, Della Valle, ex consigliere comunale di Forza Italia. Sulle poltrone del CdA o alla guida delle controllate come la Descò si alternano negli anni politici come Codarin e Crozzoli (due ex presidenti della Provincia) Bosio, Visioli ed altri. Come ingenti sono gli “investimenti” pubblicitari su stampa e TiVù locali che forse concorrono a spiegare l’inerzia giornalistica. Dice bene ieri sulla stampa Gianfranco Carbone “Ma c'è una considerazione amara da fare: questo stato di cose dura almeno da sette anni e ci sono state interrogazioni in Consiglio regionale e prese di posizione pubbliche. Anche in questo caso la magistratura assolve ad una funzione di supplenza della politica o delle amministrazioni. Ho parlato, nel passato, di omertà, collusioni e interessi trasversali. A fare le spese potrebbero essere lavoratori e cittadini.” E non possiamo non condividere perché lo sosteniamo da anni come non si può che essere d’accordo con Piero Rauber quando scrive dei dipendenti (che son più che in Ferriera, ndr) e così vale per l’indotto. Cosa che però non pare turbare più di tanto il Sindaco che arriva a dichiarare sul piccolo giornale odierno di essere pronto “a sacrificare 100/120 posti di lavoro”, per la Ferriera, sempre restando al Rauber, non l’ha mai detto. Perché? E sempre Comune e Regione, senza sprezzo del ridicolo, affermano che da tempo stavano “monitorando” la situazione delle Coop. Per decidere qualcosa “a babbo morto”? Riposino gli occhi un istante o rischiano di perdere la vista, per la faccia già fatto. In quanto alle affermazioni dei sindacalisti basta scorrerle per capire quali rischi reali corrano oggi i lavoratori delle cooperative. Sono “stupiti e sorpresi”, erano troppo intenti a leggere “La bella addormentata” e poverini non si erano accorti di nulla. Ma sfogliare un bilancio Coop invece delle fiabe no? E i lavoratori? Così a caso ce ne è qualcuno iscritto alle svariate sigle sindacali magari per informarle e fare qualcosa per tutelare il proprio futuro? Ma si sono accorti che negli spacci, usiamo un nome all’antica come le Coop, dove lavorano, una buona parte dei prodotti più comuni in vendita sui banconi costa mediamente un quarto/un terzo di più che altrove? Dai grissini torinesi alle verdure in scatola, dalla cioccolata di marca alle minestre in barattolo e potremmo continuare con i sughi per la pasta e avanti così. Ecco questa politica è veramente un Re Mida al contrario. |
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