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Il dito e la Luna. Paranoia?
Scritto da: teodor

Il dito e la Luna.

Il 1968 è stato un grande anno, soprattutto per chi, seppure ancora quindicenne, ha avuto la fortuna di viverlo appieno. E non aggiungo altro e mi fermo qui.

Tra le tante parole d’ordine e le fantasie poetiche che si partorirono allora la storiella del dito e la luna merita qui di essere ricordata.

Recita così.

Quando il dito indica la Luna, l’imbecille guarda il dito.

Ora senza voler offendere nessuno ma è mai possibile che da giorni noi denunciamo tre questioni che dovrebbero impegnare fino all’ultimo respiro chiunque, e sotto qualunque parte o ideologia, dedichi la sua vita all’impegno civile e tutto quello che otteniamo in risposta è una cavillosa giustificazione su di un cenno di saluto?

Le riassumiamo per i distratti.

“Il silenzio sulla storiaccia del commissario governativo per il fallimento Lucchini, che interessa eccome la nostra città (Ferriera), Nardi, condannato, in primo grado certo ma non è un complimento, a otto anni e sei mesi di carcere e ad una rilevante penale risarcitoria per la morte di decine di lavoratori dell’Ilva di Taranto, ma che in Regione, in Comune e Provincia, in Prefettura e financo dai sindacati viene considerato tuttora autorevole interlocutore. Anche da chi si strappa le vesti per un banale avviso di garanzia.

La simbolica vicenda, mai vista prima da queste parti, del pagamento della campagna elettorale del suo presidente, Gianni Torrenti candidato non eletto nelle liste PD alle ultime regionali, da parte della Cooperativa Bonawentura-Teatro Miela, dove il finanziamento pubblico ha sempre avuto un ruolo determinante nella vita della stessa. Come dimostrato dai 440.000 euro stanziati dalla Regione su proposta dell’assessore regionale alla cultura (le minuscole sono d’obbligo) Gianni Torrenti. Uno e trino vista anche la sua carica di “tesoriere” del partito, incarico da cui si è formalmente dimesso alcuni mesi dopo il suo ripescaggio dalla Serracchiani in Giunta, passandolo alla sua segretaria in Regione. E neppure la paginata sul Messaggero Veneto del 23 maggio scorso (“Vero. Com’è vero che tra amici i favori si fanno e, se si può, si rendono”: così concludeva l’articolo la giornalista) è riuscita a scuotere il silenzio ovattato steso attorno a questa storia nel capoluogo regionale in un momento in cui le vicende sull’uso del pubblico denaro e dei rapporti tra politica e (mala)affari tengono banco a livello nazionale a partire dalla vicina Venezia e, abbiamo motivo di ritenere, finiranno per lambire pure Trieste, sempre su iniziativa della magistratura veneta.

Le domande da noi pubblicamente avanzate alla Procura della Repubblica di Trieste da oltre un anno a questa parte e rimaste a tutt’oggi senza risposta alcuna.

Riguardano sostanzialmente la difformità di comportamento tra la magistratura inquirente di Trieste, che pure riempie paginate estive sul piccolo giornale con annunci di “rigorose” indagini aperte, e mai chiuse a distanza di oltre tre anni, e quanto avvenuto per esempio a Taranto, Torviscosa, Vasto (Savona), Brindisi, Monfalcone, Gorizia, solo per citare alcune altre Procure della nostra Repubblica.

A Trieste la stessa Procura ha in mano dal settembre dell’anno scorso una dettagliata perizia firmata dall’Ass triestina dove si dimostra la connessione e la correlazione tra la produzione della Ferriera e la morte di 83 lavoratori nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2012. Ma per le vicende legate all’amianto oppure al altre patologie che colpiscono pure migliaia e migliaia di triestini e muggesani la storia è sempre la stessa. D’altronde come non citare il caso di un Presidente, e per due mandati, di Confindustria giuliana, Corrado Antonini, con una condanna definitiva della Cassazione ed un’altra in primo grado a Gorizia sempre per le stesse ragioni.”

La Luna, la Luna, per favore … consigliere Menis.

Paranoia?

Leggendo la classica enciclopedia medica, un po’ come il protagonista del meraviglioso “Tre uomini in barca (per non parlare del cane)” di Jerome Klapka Jerome (chi ancora non lo ha letto è un analfabeta dello spirito), scopriamo di possedere i sintomi di tutte le patologie e malattie ivi descritte salvo il ginocchio della lavandaia e la paranoia. Il perché lo capirete subito.

Da tempo oramai nei confronti del Circolo Miani e di Maurizio Fogar viene praticata quella che i latini definivano la Conventio ad excludendum, oppure la pratica dell’isolamento e della morte civile, da parte dei vari soggetti nostro malgrado protagonisti della società pubblica a Trieste ed in Regione. Dal mondo dell’informazione, una parola decisamente grossa per i velinari di casa nostra, a quello delle istituzioni pubbliche (Regione, Provincia, Comune) e poi ovviamente ai partiti, alla politica ed ai suoi derivati, quasi sempre altamente tossici.

Per cui qualunque cosa venga detta, proposta o fatta da loro (Miani e Fogar), deve essere cancellata, negata e nascosta all’opinione pubblica, mai accolta e discussa o se proprio si deve ciò viene fatto cancellando accuratamente la fonte proponente. Domande lecite e di straordinario interesse per la nostra comunità non trovano mai risposta, neppure negativa perché si guardano bene, lor signori, di prendersi anche solo qualche responsabilità, e si scontrano con un muro di gomma, restando quasi sempiternamente sospese nell’aria.

Solo negli ultimi mesi le tre vicende che abbiamo cercato di porre al centro dell’attenzione pubblica, tra le tante, sono significative di questo comportamento.

Il silenzio sulla storiaccia del commissario governativo per il fallimento Lucchini, che interessa eccome la nostra città (Ferriera), Nardi, condannato, in primo grado certo ma non è un complimento, a otto anni e sei mesi di carcere e ad una rilevante penale risarcitoria per la morte di decine di lavoratori dell’Ilva di Taranto, ma che in Regione, in Comune e Provincia, in Prefettura e financo dai sindacati viene considerato tuttora autorevole interlocutore. Anche da chi si strappa le vesti per un banale avviso di garanzia.

La simbolica vicenda, mai vista prima da queste parti, del pagamento della campagna elettorale del suo presidente, Gianni Torrenti candidato non eletto nelle liste PD alle ultime regionali, da parte della Cooperativa Bonawentura-Teatro Miela, dove il finanziamento pubblico ha sempre avuto un ruolo determinante nella vita della stessa. Come dimostrato dai 440.000 euro stanziati dalla Regione su proposta dell’assessore regionale alla cultura (le minuscole sono d’obbligo) Gianni Torrenti. Uno e trino vista anche la sua carica di “tesoriere” del partito, incarico da cui si è formalmente dimesso alcuni mesi dopo il suo ripescaggio dalla Serracchiani in Giunta, passandolo alla sua segretaria in Regione. E neppure la paginata sul Messaggero Veneto del 23 maggio scorso (“Vero. Com’è vero che tra amici i favori si fanno e, se si può, si rendono”: così concludeva l’articolo la giornalista) è riuscita a scuotere il silenzio ovattato steso attorno a questa storia nel capoluogo regionale in un momento in cui le vicende sull’uso del pubblico denaro e dei rapporti tra politica e (mala)affari tengono banco a livello nazionale a partire dalla vicina Venezia e, abbiamo motivo di ritenere, finiranno per lambire pure Trieste, sempre su iniziativa della magistratura veneta.

Le domande da noi pubblicamente avanzate alla Procura della Repubblica di Trieste da oltre un anno a questa parte e rimaste a tutt’oggi senza risposta alcuna.

Riguardano sostanzialmente la difformità di comportamento tra la magistratura inquirente di Trieste, che pure riempie paginate estive sul piccolo giornale con annunci di “rigorose” indagini aperte, e mai chiuse a distanza di oltre tre anni, e quanto avvenuto per esempio a Taranto, Torviscosa, Vasto (Savona), Brindisi, Monfalcone, Gorizia, solo per citare alcune altre Procure della nostra Repubblica.

A Trieste la stessa Procura ha in mano dal settembre dell’anno scorso una dettagliata perizia firmata dall’Ass triestina dove si dimostra la connessione e la correlazione tra la produzione della Ferriera e la morte di 83 lavoratori nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2012. Ma per le vicende legate all’amianto oppure al altre patologie che colpiscono pure migliaia e migliaia di triestini e muggesani la storia è sempre la stessa. D’altronde come non citare il caso di un Presidente, e per due mandati, di Confindustria giuliana, Corrado Antonini, con una condanna definitiva della Cassazione ed un’altra in primo grado a Gorizia sempre per le stesse ragioni?

Ecco tre casi, ma non sono certamente i soli, anzi, su cui è stato concordemente steso il sudario della censura e del silenzio. E che le prime vittime siano proprio i cittadini di Trieste e Muggia poco importa, “danni collaterali” si definiscono in guerra.

Tutto pur di cancellare l’esistenza del Circolo Miani e di Maurizio Fogar dalla nostra comunità. Confidando pure nello scarsissimo peso ed interesse che queste terre hanno da decenni nell’opinione pubblica nazionale, per non parlare poi del mondo politico dove tradizionalmente i rappresentanti triestini sono delle comparse di ultima fila.

Vi ricordate i titoloni sui giornaloni ed i dibattiti nella palude dei Talk-show sulla scarsa affluenza alle elezioni, di ogni ordine e grado, in Italia negli ultimi dodici mesi? Tutti a gridare “aita, aita per la democrazia” perché le percentuali di astensionismo si avvicinavano al 50% in Sicilia come alle ultime europee. E che a Trieste, pur sempre capoluogo della Regione FVG l’altr’anno il 59%, si il 59, degli elettori non avesse votato, non ha strappato neppure una lacrimuccia di coccodrillo nel panorama della stampa italiana, idem dicasi per meno della metà dei triestini che nel 2011 ha eletto l’attuale sindaco.

Sulla vicenda poi dello sfratto del Circolo dalla sede che da oltre venti anni è divenuta uno dei pochissimi, se non l’unico, strumento, pubblico e gratuito, a disposizione della nostra gente sul territorio, idem come sopra.

I soggetti istituzionali sono formalmente diversi ma la partita si gioca tutta in casa PD.

Ed il PD, almeno quello triestino, con i soliti ascari di complemento, ha deciso di farne una scelta di vita o di morte, anche accettando di esporre alcuni loro amministratori al pubblico ludibrio ed al mendacio conclamato. E sinceramente facciamo fatica a comprendere la logica di questa politica che allarga a dismisura, se mai fosse possibile, il fosso incolmabile che a Trieste, più che altrove, si è scavato tra politica, tutta, comprese le sue appendici sindacali, intellettuali un tanto al chilo e dirigenziali, e società vera, molto più cruda e dura di quella “civile”, rigorosamente appunto tra virgolette, con il giovin Borruso di turno e l’ennesima presidenza di CdA, che loro tanto amano citare.

In attesa della stesura finale della “storia di uno sfratto, a parole da tutti scongiurato mai nei fatti accelerato”: e non è uno scherzo, chiudiamo con la frase di un consigliere comunale, uno a caso: Bandelli, che in una recente seduta del Consiglio vedendo nei banchi del pubblico qualche decina di persone ha esortato, seguito a ruota da tutti gli altri, a gara nell’usare parole sì struggenti, ad “interrompere, sospendere i lavori per incontrare i cittadini che aspettano”, come, aggiungeva “è usanza di questo consiglio e si è sempre fatto”.

Sempre? Ma non pigliamoci per i fondelli almeno.

Quando neppure un mese prima altrettante, o quasi, persone (una delegazione del Circolo Miani) si erano presentate in Consiglio per chiedere un incontro, per quasi due ore mettendo a dura prova il loro collo, tutti i quaranta e passa, Sindaco e Giunta compresi, avevano fatto finta di non vederli. Non avevano neppure risposto con un saluto, vero Menis e Patuanelli?

Le persone del Circolo, i cittadini nella Casa Comune, appunto il Municipio, per i politici di ogni ordine e grado erano come degli ectoplasmi, dei fantasmi, o come loro preferiscono dei morti civili.



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