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La “Superstrada”. Grafite e tangenti a gò gò.
Scritto da: Teodor

Esplode in questi giorni lo scandalo della grande viabilità triestina, o per meglio dire del tratto della cosiddetta Superstrada che passa accanto alla Ferriera. In questi - ma solo questi? - giorni pare che l’autoscontro del vicino Luna Park abbia aperto una dependance sui piloni che dai Campi Elisi portano alla Zona Industriale.

In realtà è uno scandalo vecchio almeno quanto la Superstrada e riguarda una fetta di questa che dal suo inizio a Sant’Andrea arriva fino all’ospedale di Cattinara.

Di nuovo c’e solamente l’aggravarsi della crisi nel primo tratto per le copiose emissioni, non di misteriose polveri come si cimentano esperti ed ambientalisti che in tanti anni poco o nulla hanno imparato, ma di pura grafite in uscita dalla Ferriera.

Grafite, minerale grasso, lamellare e sbarlucicante che nasce dal contatto tra il carbonio e l’ossigeno nei processi produttivi di Altoforno e Cokeria. Niente di più grasso ed infiltrante, come ben sanno pure i vetri dei parabrezza degli automobilisti da via Von Bruck a Monte San Pantaleone, che con l’umidità e l’acqua penetra deformando perfino i vetri delle macchine con una patina oleosa.

E almeno l’amministratore delegato della Ferriera ci risparmi l’ironia che rivela per altro, se mai parlasse in buona fede, una scarsissima competenza tecnica sul ciclo produttivo dello stabilimento che pure dirige.

Ma detto e ribadito questo il riesplodere di questo scandalo in maniera così gridata dalle colonne e dalle locandine del piccolo giornale locale omette la storia vera di questa opera nata male e costruita peggio. Una storia esemplare per ricordare oggi dove qualcuno pensa alla riabilitazione di Bettino Craxi, cosa fosse, e purtroppo in gran parte è rimasta, la stagione di Tangentopoli di cui l’esponente socialista divenne il simbolo.

Sul mensile edito dal Circolo Miani, Nuova Società, ne scrivemmo a lungo e per primi a partire dal numero di marzo 1989, dove portammo alla luce lo scandalo, quello vero, delle ditte: Grassetto di proprietà del costruttore Ligresti pluricoinvolto nelle indagini sulle “aree d’oro” a Milano e nelle tangenti per gli appalti alle grandi opere in Lombardia; Rizzi e Furlanis, con i titolari finiti in carcere a Venezia per le tangenti a De Michelis e company, e che costruirono appunto i tre primi lotti della Grande Viabilità.

Una costruzione che costò allora a metro quadro cifre da record, pagate ovviamente dai cittadini, e che dimostrò da subito la pessima qualità pure del materiale impiegato. Un bitume di scadentissima qualità pieno di scarti e soprattutto di argilla che ovviamente con la pioggia veniva in superficie a generare l’effetto “limo”. Tanto che fino a quando l’ANAS-Autovie Venete non prenderà in consegna l’onerosissima manutenzione, con la completa ripavimentazione e riasfaltatura in profondità, il limite di velocità per la Superstrada sarà di cinquanta, dicasi cinquanta come in via del Veltro, chilometri all’ora.

In quegli anni, sempre sul periodico edito dal Circolo che fu allora il più diffuso mensile a Trieste, ne scrivemmo a iosa a partire dal palazzinaro siculomeneghino Salvatore Ligresti che pensate nel 1978 denunciò un reddito di trenta (diconsi trenta) milioni di lire e contemporaneamente si comprò la SAI, seconda compagnia assicuratrice del BelPaese. E’ lecito domandarsi con quali soldi?

E la sua Grassetto, tanto per dare un esempio concreto di cosa costasse allora la politica degli appalti facili, la settimana dopo l’inaugurazione farsa con l’allora Presidente del Consiglio Amintore Fanfani a Trieste per tagliare il nastro d’apertura del primo lotto della Superstrada, si ingurgitò subito altri due miliardini per sostituire il guard rail nuovo di zecca, in quanto troppo basso per le norme vigenti.

Ovvero le macchine che ci andavano a sbattere le tratteneva mentre per i camion ci pensavano le case sottostanti. E poiché la Grande Viabilità era stata costruita proprio per smistare il traffico pesante dal centrocittà, cosa dimostrata negli anni anche questa non vera basti guardare via Svevo, Campi Elisi o via Baiamonti, altro appaltino alla Grassetto per la sostituzione, tanto miliardo più miliardo meno sempre rigorosamente dalle tasche dei cittadini.

La “colpa” della svista? La mancata vigilanza ai lavori di Comune e Regione con il conseguente palleggio di irresponsabilità.

Cose vecchie dirà qualcheduno? Vecchie come il nuovo stadio di calcio costato oltre tre volte il prezzo di gara, oppure il nuovo Palasport, idem come lo Stadio, oppure il rifacimento del Teatro Verdi?

O come il sistema delle “Varianti in corso d’opera”, attraverso il quale costruttori e politici aggirano sistematicamente le pallide misure di legge per la trasparenza degli appalti, con il conseguente mancato rispetto del termine di fine cantiere (vedere la durata dei lavori di Piazza Goldoni, Rive e rifacimento ex Pescheria, casi fra i tanti), senza penale alcuna ovviamente.

E chi paga? Il debito pubblico, ovvero noi cittadini.

Un dato presto dimenticato quello ufficializzato dai giudici milanesi di Mani Pulite che scoprirono, e ci riferiamo solo alle indagini condotte a buon fine, che la “cresta” in tangenti corrispondeva ad una finanziaria annuale dello Stato.

Pensate un po’ oggi un’ Italia con il bilancio in pareggio e con tanti soldi da investire nel sociale, nella sanità, nel lavoro. Un miraggio, un sogno?

No una realtà senza il perverso intreccio tra politica ed affari.

Buona “Superstrada”.



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