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Una politica sbagliata.
Scritto da: Maurizio Fogar

Anni fa, era la fine degli anni ’80, Nando Dalla Chiesa, allora docente di sociologia all’Università Bocconi di Milano, scrisse un articolo-saggio per il settimanale Espresso, dove analizzava i comportamenti, in particolare quello del Segretario nazionale del PDS, Achille Occhetto, della classe politica che voleva ed intendeva ricondurre tutto quello che succedeva nella società al sistema dei partiti. Ovvero ciò che accadeva o si muoveva fuori da questo sistema semplicemente per loro non esisteva, non aveva nemmeno diritto di tribuna, non meritava di essere preso in considerazione. Insomma una società così articolata e spesso frammentata come quella italiana, con tanti movimenti spontanei che nascevano dal basso, tra la gente comune, andava semplificata e ricondotta al dibattito tra partiti. Quello che stava fuori dalla partitocrazia non contava nulla.

Era la nascita della contrapposizione della società politica con la cosiddetta società civile, un duro confronto che durerà per un decennio e che vedrà coinvolti tutti i partiti, nessuno escluso, pur con qualche dissenso interno per altro fortemente minoritario. Dopo la crisi del sistema dei partiti a seguito di Tangentopoli, le cosiddette nuove formazioni politiche daranno il via ad una beffarda quanto gigantesca operazione gattopardesca: cambiare tutto perché nulla cambi. Infatti a partire dalla metà degli anni Novanta tutti i partiti affermeranno di essere espressione della “società civile”, intesa però secondo la loro ottica, appunto di partito. Lo stesso termine “società civile” verrà totalmente snaturato assumendo quasi una connotazione classista, ovvero di classe economica.

Saranno gli esponenti di questa “società” chiamati a colloquiare con i partiti, a candidarsi ai Comuni, Regioni e parlamenti, tutti espressione di un preciso ceto sociale: imprenditori, liberi professionisti di grido, rettori o docenti universitari e così via. La gente normale, che prima contava poco e sempre meno con l’avanzare della crisi e la dissoluzione dei partiti popolari, in questo nuovo sistema conterà nulla ed anzi non avrà neppure possibilità di esprimersi. In un sistema informativo, carta stampata e televisioni, monopolizzato dal sistema politico che sceglierà esclusivamente questi strumenti per annunciare alla propria base la linea politica ed i suoi spesso repentini cambiamenti. Insomma il “contrordine compagni” dettato sul palco di un Talk-show svilendo ed umiliando ogni residuo dibattito interno e facendo sentire i sempre meno iscritti e militanti come assolutamente inutili.

Pertanto non bisogna stupirsi quando sul piccolo giornale di Trieste, l’ex segretario provinciale dei DS, oggi capogruppo in Comune per il PD, dichiara “sembrava condivisa da tutti l’ipotesi che la Ferriera potesse continuare ad operare fino al 2015”. Dove quel “tutti” sta per l’appunto ad indicare solo ed esclusivamente i partiti. Che a Trieste ed a Muggia dal 1998, dunque da undici anni, ci sia stata la più forte e costante mobilitazione che Trieste ricordi negli ultimi decenni, con una partecipazione popolare che i partiti da anni si sognano, con centinaia di assemblee, cortei, comitati di quartiere, e che ha caratterizzato e determinato i risultati di ogni campagna elettorale a partire dal 2001, per Omero ed i suoi colleghi è un fatto che semplicemente non esiste. Fuori da quel “tutti” non c’è dignità di espressione e considerazione.

Analogo è l’atteggiamento dei politici della PDL, dove gli interlocutori, la cui credibilità in questi anni è finita sotto i tacchi, sono sempre e solo le istituzioni occupate dai partiti, quelli che “hanno titolo” ovvero i loro apparentati, e i sindacati emanazione di partiti.

Che un sindacalista provinciale dichiari che i lavoratori della Sertubi sono 350 contro i 236 dipendenti, direttore incluso, di quella fabbrica o che dica che negli ultimi anni non c’è stata alcuna assunzione in Ferriera con un direttore ed AD dello stabilimento che senza alcuna smentita sindacale negli ultimi due anni ha parlato di un centinaio di nuovi assunti, e che dia la colpa di quanto accade ora non, come ha detto e scritto sempre Gherardo Colombo, il PM di Mani Pulite e della P2, a chi commette il reato, in questo caso una proprietà che in 12 mesi non esegue i lavori prescritti, ma a chi li persegue. Orbene questo sindacalista per il sistema dei partiti entra a pieno titolo negli interlocutori “credibili”.

Come una Regione che per bocca del direttore regionale all’ambiente, qui le minuscole ci vogliono tutte, dichiara serafico che la diffida era un atto dovuto e che la proroga non è di sei mesi ma di uno.

Certo per essere un atto dovuto 51 giorni ci sembrano un po’ tanti, dal 18 dicembre …, e non saranno sei mesi ma dal 31 dicembre al 12 marzo mi pare che più d’uno sia.

Ecco perché assume una fondamentale importanza, e lo hanno ben colto gli avversari che non uno salvo la Rai, tardi e male, a due ore appena dall’iniziativa, degli organi d’informazione amici del sistema delle camarille di partito ne ha voluto dare notizia, quello che è nato nell’affollata assemblea-dibattito con oltre novanta partecipanti, di sabato scorso al Circolo Miani.

Dove Veit Heinichen, Massimiliano Fedriga, Igor Canciani-Kocijancic, Maurizio Fogar, assente influenzato Roberto Antonione, hanno lanciato l’idea di far nascere un gruppo di lavoro aperto a tutti, senza tessere di partito, per parlare, progettare, proporre e realizzare un futuro degno per questa città, che rompa l’immobilismo in cui i partiti costringono Trieste, e che non le faccia perdere ancora una volta l’occasione di essere parte d’Europa. Una città metropolitana, una città porto, con turismo, scienza e nuove industrie ad alto livello tecnologico e basso impatto ambientale, una rinascita e recupero del territorio, dei collegamenti e delle infrastrutture, con una valorizzazione dell’università e della ricerca, e con sanità e servizi finalmente di livello europeo.

Dove il pluridecennale fallimento della politica dei partiti sulla incapacità di risolvere per tempo il problema Ferriera non è che l’ulteriore dimostrazione, l’ennesima cartina di tornasole, di quanto questo sistema dei partiti debba essere mandato a casa al più presto perché Trieste, la sua piccola provincia, la sua gente possa tornare a vivere e prosperare.

Ed a giorni comunicheremo tema, data e luogo, che sarà stavolta in centrocittà, del secondo incontro aperto per costruire assieme il nostro futuro.



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