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Déjà vu: Caffaro = Ferriera
Scritto da: Teodor

Scambiate i nomi è la vicenda è perfettamente uguale se non per un unico fattore: il comportamento della magistratura. Ad Udine il giudice ha interpretato perfettamente quanto scrive la legge italiana, che pare si fermi al Tagliamento se un suo collega di Trieste, Truncellito, ha scritto in sentenza emessa nel nome del popolo italiano, respingendo una delle tante richieste di sequestro degli impianti avanzate dal PM Frezza in questi anni, che “l’imbrattamento-inquinamento della Ferriera è causato dai camion che corrono troppo veloci sulle strade interne dello stabilimento”. Per il resto, sequestro vero e non per modo di dire a parte, tutta la vicenda Caffaro, la fabbrica che produce chimica a Torviscosa, insomma l’erede della stranota Snia, è assolutamente identico nei comportamenti di tutti gli attori e nella storia alla vicenda Ferriera-Lucchini. Con in più un incredibile pressione di politica, amministrazioni, sindacato, padronato, orchestrata attraverso una massiccia campagna sugli organi d’informazione nei confronti dell’autonomia della magistratura quando fa il suo dovere.

I numeri, anche qui sembra di stare sulla pubblicità di Aiazzone. Dai 200 dipendenti iniziali che con l’indotto dichiarato di altri 600, un indotto tre volte superiore ai dipendenti, complimenti, fa 800, si arriva a dichiarare sui titoli dei giornali e TiGì che 1000 persone, ma si arrotondare non guasta mai, perderebbero il lavoro. Poi il dato sale, come per miracolo a venire, a 2000, come riporta la stampa il giorno dopo: c’è qualcuno in sala che propone 5000? Forza signori non indugiate.

I tempi. Dal 2001 lo stabilimento chimico è sotto indagine per avvelenamento, straprovato delle acque, che arrivano fino alle lagune di Grado e Marano, con la specialità del pesce al mercurio. Dal 2004-05 la Caffaro aveva preso l’impegno di risanare ed ammodernare gli impianti entro e non oltre il 2008. A tutt’oggi, tanto per fare un esempio, delle 78 celle di lavorazione del Mercurio, un ottimo cancerogeno di sicuro effetto, ne hanno ristrutturate meno di un terzo, ma ora promettono che nei prossimi tre mesi finiranno il lavoro che non sono riusciti a fare in tre e passa anni. Ma hanno bisogno dei soldini, e siccome il prezzo della soda che producono è aumentato di oltre un terzo, che intanto la magistratura gli ritiri il sequestro, quello vero tanto che gli hanno tolto pure la corrente elettrica, perché devono far businnes per pagare i lavori di risanamento ambientale.

I controllori, e cioè ARPA, Direzione Regionale all’Ambiente, ASS e Comune. Se mai bisognava trovare ulteriore conferma sul verminaio in cui spariscono gli obblighi di controllo e tutela della salute dei cittadini, lavoratori e indotto compresi, e dell’ambiente: la storia della Caffaro è devastante. Come un altro intervento e perquisizione dei NOE dei Carabinieri qualche tempo fa ha portato alla luce, l’ARPA si limitava per anni semplicemente ad autenticare i numeri forniti dalla Caffaro: insomma una autocertificazione che nessuno, dai funzionari dell’ARPA a quelli dell’Assessorato regionale all’Ambiente, dall’ASS al Comune di Torviscosa, ha mai pensato di mettere in discussione e verificare. Fino a quando per l’appunto durante una perquisizione dei NOE, nei cassetti della scrivania di un dirigente della fabbrica sono usciti i dati veri dei rilevamenti, commissionati ad azienda di fiducia della proprietà e che per buona misura venivano tranquillamente taroccati al ribasso e trasmessi all’ARPA che senza alcun controllo li convalidava. E tanta era la sicumera e la certezza di impunità che i dirigenti hanno scioccamente conservato nei cassetti le analisi originali.

La proprietà. C’è poco da dire, se sostituite al nome di Onorato, Amministratore Delegato della Caffaro, quello di Rosato, AD della Servola spa, oltre a far rima scoprirete che le dichiarazioni, sugli impegni presi, sui lavori fatti, e balle consimilari, sono assolutamente identiche, come la città di provenienza: Brescia.

Il sindacato. Che in alcuni reparti gli operai e gli addetti lavorino tra i vapori al mercurio, un vero e proprio abbonamento al cancro, che si formano ad esempio con il gocciolare dello stesso sui tubi sottostanti bollenti e non isolati o coimbentati, evaporando seduta stante come ha testimoniato proprio un sindacalista, questo non sembra turbare la mente delle sigle sindacali che come nella vicenda Ferriera si sono schierate quasi tutte a difesa dell’azienda, contro la magistratura e tutte le menate sulla sicurezza sul lavoro, sulla tutela della salute dei dipendenti e stronzate simili. Insomma hanno fatto carne di cannone a favore della proprietà e si sono offerti come volontari ostaggi del ricatto occupazionale.

Politici ed amministratori. Dal Sindaco di Torviscosa, Roberto Duz, un PD già distintosi per essere stato praticamente l’unico sindaco della Bassa Friulana a non essersi opposto al progetto del mega cementificio che ha provocato una vera e propria sollevazione popolare e che ha portato la Regione amministrata da una Giunta amica del sindaco a ritirarlo in fretta e furia, il cementificio e ahimè non anche il sindaco. E che oggi fa come il passato sindaco di Trieste per la Lucchini, l’addetto stampa della Caffaro ai vertici della Regione che non trovano di meglio, in presenza proprio di una colpevole assenza settennale della Regione nella vigilanza sul problema, che associarsi al coro di coloro che mettono sul banco degli imputati chi punisce i reati e non chi li commette fino al sottosegretario triestino all’Ambiente che invece proprio di quello dovrebbe preoccuparsi.

Per finire con l’informazione. Assolutamente appiattita sulle dichiarazioni aziendali e dei politici corifei. Strumento acritico del vero e proprio ricatto in essere contro i magistrati udinesi, pubblicano le notizie pro Caffaro, praticamente solo quello, senza alcuna verifica nemmeno sulle palesi discordanze numeriche. Solo per caso dedicano due righette in chiusa dei servizi sulle migliaia di persone che tra Grado e Marano vivono sulla pesca e che potrebbero precipitare nel baratro della miseria senza ammortizzatori sociali di sorta.



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