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Non comperate Il Piccolo e buon caffè a tutti.
Scritto da: Teodor

Non comperate il Piccolo e se proprio volete leggerlo risparmiate dieci centesimi e bevetevi un buon caffè con un pessimo quotidiano annesso in un bar di vostro gradimento.

Di Beppe Grillo si può condividere tutto, in parte o per niente di quello che dice ma certamente non si può non dargli ragione quando solleva per l’ennesima volta uno dei nodi centrali della malattia della democrazia in Italia: quello della quasi totale assenza di una informazione, scritta e radiotelevisiva, degna di questo nome.

E se in Italia stiamo male a Trieste invece malissimo. Da quasi sempre in città e provincia, che qui è la stessa cosa, esiste un regime di sostanziale monopolio. Nella carta stampata esso è rappresentato dal quotidiano Il Piccolo con l’appendice del giornale della minoranza slovena il Primorski Dnevnik, per altro finanziato quasi totalmente dai contributi statali. Nella televisione la situazione pressoché dominante, tolta la lottizzazione RAI, appartiene a Telequattro. E fin qui niente di nuovo.

Ma merita anche un discorso a se quell’ Ordine dei Giornalisti, per la cui soppressione ci battiamo da anni e che fino a poco tempo fa esisteva solo in qualche paese da dittatura sudamericana, ora pare solo in Italia, appunto, ed in Argentina. Una struttura voluta da Mussolini, Benito non Alessandra, per porre sotto un più rigido controllo censorio la stampa. Senza la tessera dell’Ordine non potevi scrivere, come senza la tessera di partito (PNF) non lavoravi.

Come funziona l’Ordine del Friuli Venezia Giulia ve lo racconto in poche righe.

Correva l’anno 1986, e ritenni di partecipare all’assemblea annuale dei giornalisti della Regione – ogni volta che mi domandano la professione rispondo sempre con la fulminante battuta di Jack Lemmon a Walter Matthau nello splendido film “Prima pagina” di Billy Wilder: se ho detto a mia madre che faccio il giornalista? Ma scherzi le ho raccontato che faccio il pianista in un bordello altrimenti mi caccerebbe di casa – dove si dovrebbe affrontare anche il comportamento deontologico e professionale della nostra categoria. Ci andai perché ritenevo giusto chiedere all’Ordine un intervento su alcuni suoi iscritti in merito a quanto successo in occasione della presentazione,  nel dicembre dell’anno prima,  del notissimo libro “Delitto imperfetto”, che per chi non lo sa ricostruisce il clima politico che ha portato all’omicidio del Prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, padre di Nando, della moglie Setti Carraro e dell’autista, da parte della mafia,  alla presenza dell’autore, il prof. Nando Dalla Chiesa, ospite a Trieste, e proprio presso la sede del Circolo della Stampa, del Circolo Miani.

Ebbene nel solito comunicato stampa che il Miani aveva diramato a tutti gli organi d’informazione per annunciare l’incontro c’era in finale così scritto: “interverrà l’autore, Nando Dalla Chiesa, docente di sociologia all’Università Bocconi di Milano, figlio del Prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, assassinato dalla mafia”. Ora sul quotidiano di Udine, Messaggero Veneto, diretto da Vittorino Meloni, la notizia era stata così riportata: “interverrà l’autore, Nando Dalla Chiesa, docente di sociologia all’Università Bocconi di Milano, figlio del Prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, morto ammazzato”. E punto. Vi siete accorti cosa c’era di diverso? Vi voglio aiutare: l’assassinato dalla mafia si era trasformato in morto ammazzato. Insomma sul quotidiano di Udine la parola mafia nel 1986 era disdicevole da scrivere ed il generale, assieme alla moglie, era stato vittima di un incidente, che ne so di un camionista impazzito che dopo averlo travolto nel centro di Palermo aveva fatto pure retromarcia per distruggere la vettura che lo seguiva ed accoppare l’autista.

Allora senza voler per questo sostenere che il Messaggero Veneto fosse come i giornali siciliani che in quei tempi rifiutavano perfino i necrologi a pagamento delle vittime della mafia dove ne comparisse il nome (vedere il caso della vedova del giornalista Mauro De Mauro), ritenevo utile chiedere all’Ordine che appunto deve vigilare sulla correttezza professionale dei suoi iscritti, un intervento in merito. Nulla da fare, davanti ad una sparuta assemblea di quasi tutti pensionati in là con gli anni, interrotto subito dall’anziano presidente di allora, dopo aver ascoltato solo di come l’associazione investiva lucrativamente le quote sociali negli allora mitici BOT, venivo apostrofato da un “collega” dalla sala, un quasi giovane di stazza più larga che alta dirigente dell’Ufficio Stampa della Regione, con questo grido belluino “basta parlar de ste monade, parlemo de bori”.

Quanto accade poi in questi ultimi venti anni nel mondo dell’informazione triestina non deve stupire poi più di tanto, cambiano le proprietà, i direttori, le linee politiche ma resta assolutamente invariata la difesa dei poteri forti localmente, del sistema dei partiti, le marchette giornalistiche a questo o quell’altro imprenditore, le interviste prone a novanta gradi ai potenti. Senza mai un sussulto di dignità professionale da parte della pletora di professionisti strapagati ma con giornali per due terzi confezionati sfruttando il lavoro (?) dei cosiddetti collaboratori esterni.

Una cartina da tornasole utile per capirlo è la vicenda Ferriera. Una storia di tre inquinamenti, quello ambientale, quello politico e quello dell’informazione. Provate a rileggerla in quest’ottica e tutto vi sarà più chiaro.

Non comperate Il Piccolo e buon caffè a tutti.



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