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Poche idee ma ben confuse. Scritto da: Maurizio Fogar Ogni giorno che passa fa emergere la pochezza, i luoghi comuni che la politica esprime in città. Sentite qua. Su una cosa sono d’accordo i tre candidati sindaci, ma anche gli altri li seguono a ruota, di Centrosinistra, Cosolini, di Centrodestra, Dipiazza, e del Movimento 5 Stelle, Menis: di accorpare l’assessorato con delega alla Cultura con quello al Turismo. A seguir le mode potrebbe per assurdo essere naturale. Appunto, a seguir le mode e superficialmente. Fare invece un ragionamento su cosa significhi oggi, più di ieri, invece una politica culturale sul territorio, e l’idea stessa di “cultura”, non li sfiora nemmeno alla lontana. Eppure basterebbe aver letto, nei primi anni Ottanta, i libri ed i saggi di Carlo Tullio Altan, uomo di sinistra e il principale docente di Antropologia dell’università italiana (prima la Sapienza a Roma e poi l’Ateneo di Trieste). Ma certamente, ne siamo consci, è pretendere troppo da questi candidati. Il Circolo Miani, di cui Altan fu socio fondatore, nacque invece nel 1981 anche proprio per mettere in pratica il concetto di cultura che Altan insegnava. Una cultura, anzi più culture diffuse, praticate quotidianamente dai cittadini perché vicine ai loro problemi di ogni giorno, radicate sul territorio dove la gente vive e che siano strumento ed aiuto fondamentale per la crescita e l’assunzione di scelte e decisioni dal basso nella nostra comunità. Quelle che Altan indicava con il termine di “culture con la c minuscola”, in contrapposizione a quella accademica, baronale, ingessata ed istituzionale con la “C” maiuscola. Detto questo, oggi una moderna politica culturale a Trieste, che voglia uscire dai soliti luoghi comuni (abbonamenti ai teatri, di prosa e lirici, visite ai musei, festival dei cinema d’autore che l’attore di sinistra Paolo Villaggio descrisse così bene nei suoi Fantozzi: la “corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”) deve partire dalla consapevolezza che la stragrande maggioranza dei triestini non ha mai messo piede al Verdi ed al Rossetti, non sa nemmeno dove sia il Museo Revoltella e figurarsi gli altri. Che insomma la Cultura, con la “C” maiuscola è appunto a Trieste un hobby, un rito ingessato, per pochi e sempre gli stessi, fino a morte, loro, fisica. Non ci pensano nemmeno alle iniziative realizzate alla fine degli anni Sessanta-primi Settanta dai vari Dario Fo-Franca Rame, Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Cesco Baseggio, tutti uomini di sinistra, di portare il teatro dove la gente vive con i “teatri Tenda” nelle periferie di mezza Italia. Oppure le “estati romane dell’effimero” dell’assessore Renato Nicolini nelle Giunte di sinistra a Roma di Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli ed Ugo Vetere. Per arrivare alla scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani e, udite udite, alla delibera del Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Antonio Comelli (DC), che imponeva al neo istituito Teatro regionale Rossetti di far recitare le compagnie in cartellone anche sul territorio regionale nelle sale comunali minori. Così come pensare di aprire i musei, non solo nell’orario ma come strutture dove invitare le persone a ritrovarsi e discutere, ad organizzare corsi aperti e gratuiti di pittura, musica e quant’altro, anche su strada, all’interno di itinerari e percorsi che, partendo dall’uso di strutture ed immobili pubblici abbandonati da anni nelle periferie, coinvolga i triestini di tutte le età. Allora che ci azzecca il Turismo? Per chi avesse un’idea moderna e progressiva della cultura, la comprensione che questa è il mezzo imprescindibile per fornire alle persone che vivono il territorio gli strumenti e le capacità per decidere e scegliere il loro futuro, la loro vita, se un accorpamento va fatto, orbene questo è quello con il “decentramento ed il territorio”. Ma questi politici non hanno la cultura necessaria per capirlo. Come è triste Trieste se non si vota NO FERRIERA SI TRIESTE. |
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