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Trieste Città Porto.
Scritto da: Maurizio Fogar

Trieste Città Porto.

Trieste Città della Scienza.

Per salvare questa nostra comunità ci vogliono, dopo tanta inerzia, delle idee forti e chiare.

Per cui lavorare da subito creando i presupposti per la loro realizzazione.

Non ci interessa, almeno per ora, la forma, la cornice amministrativa, ma la sostanza, passo dopo passo. Una volta create le condizioni saranno queste stesse a determinare la scelta su quale sia il miglior modo, ed il più adatto ed idoneo, per trovare la forma amministrativa. Territorio autonomo o “Libero”, Città metropolitana o quant’altro di più utile.

Invertire oggi i termini è irrealistico e non porta a nulla se non a pura testimonianza di bandiera.

Saranno invece i fatti man mano che verranno realizzati che costringeranno a prendere certe decisioni e non viceversa.

E partiamo dunque da due scelte apparentemente obbligate e dunque semplici da compiere.

La fortuna di Trieste, le sue sorti, il suo sviluppo e la sua ricchezza, in passato sono sempre state legate all’attività portuale anche per la sua collocazione geografica. Che non si sceglie ma si valorizza o si sperpera, come appunto accaduto nel secondo Novecento.

Dunque sul modello delle città anseatiche Trieste deve divenire una vera Città Porto dove la gestione dello scalo coincida con l’amministrazione del Municipio.

Nel contempo Trieste deve liberarsi, come peraltro chiedono oramai la maggioranza degli italiani, dal centralismo burocratico e spendaccione della Regione. Per il come ci sono vari modelli a partire da quelli realizzati in Val D’Aosta e soprattutto nel Trentino Alto Adige. Ma anche in altre realtà europee.

Per fare Porto innanzitutto bisogna recuperare tutti gli spazi disponibili che si affacciano sul mare, a partire dall’area della Ferriera, la più grande e per di più al 62% di proprietà demaniale già amministrata dall’Autorità portuale. Arvedi, o altri come lui si convincono di questa nuova opportunità, dato che il mercato siderurgico è destinato dalle condizioni internazionali ad una prolungata lunghissima crisi e che la Ferriera nella produzione a caldo è in forte perdita da anni, o la via è una sola. Togliere il disturbo il più rapidamente possibile restituendo gli ingenti fondi pubblici (statali, europei e regionali) da utilizzare a tutela esclusiva dei posti di lavoro.

Ma Porto non significa solo carico e scarico merci, lasciamo perdere il dato drogato dell’oleodotto, ma anche, grazie e soprattutto alle inusate opportunità dei punti franchi, lavorazioni e trasformazioni delle materie prime arrivate via mare. Il tutto esentasse come appunto stabilito dalle normative internazionali e pertanto occasione di irripetibili richiami per investimenti da tutto il mondo. Ma le regole devono essere chiare e rigorose che di profittatori ne abbiamo avuti anche troppi.

Trieste Città della Scienza.

Il nostro territorio ha delle istituzioni scientifiche (la SISSA, L’Area di Ricerca, il Sincrotrone) che tutto il mondo ci invidia e conosce molto meglio di noi triestini che praticamente ne ignoriamo se non l’esistenza sicuramente il valore e l’operatività.

Metterle in sinergia, bruttissima parola ma molto in voga qualche annetto fa, con il territorio che le ospita è stato finora impresa fallita completamente, nonostante, e forse soprattutto, per l’uso propagandistico che ad ogni campagna elettorale ne hanno fatto i vari partiti.  Ed a queste vanno comunque aggiunti gli Istituti ed i Laboratori di ricerca della nostra Università.

Ma per far collaborare efficacemente queste strutture avanzate con l’economia locale, per creare occupazione, ricerca e sperimentazione, non si può puntare ancora ad un tessuto produttivo, insomma ad imprese e stabilimenti che lavorino con procedimenti ottocenteschi (come far ghisa e carbon coke, vedi Ferriera).

E bisogna avere la capacità di fare di Trieste un luogo di richiamo internazionale non solo per i capitali (chi ha tanto denaro può perderlo come recuperarlo) ma anche e soprattutto per le intelligenze, meglio se giovani, che qui vengano ad investire la loro vita.

Per fare ciò è indispensabile assolvere ad una premessa fondamentale: la capacità di offrire buone scuole, buona sanità e buonissimi servizi a chi sceglie di portare famiglia e figli a vivere nella nostra città.

E qui si ritorna alle altre emergenze del programma di NO FERRIERA SI TRIESTE. per l’appunto la soluzione delle criticità esistenti e che penalizzano, nel senso di rovinare la vita, tante migliaia di nostri concittadini.

Il pessimo funzionamento delle strutture sanitarie (ospedaliere e territoriali) ed i tempi inaccettabili di attesa. L’emergenza casa, che pur disponendo la città di un enorme patrimonio abitativo lasciato abbandonato e vuoto (quasi 18.000 unità abitative è la stima), non riesce a rispondere neppure alle domande dei concittadini. Il degrado prevalente di tutti i quartieri semi e periferici (un degrado non solo urbanistico ma sociale, umano e civile). Le cospicue sacche di povertà presenti in città che costringono oltre 25.000 triestini a sopravvivere a fatica e stento. Ed ultima, ma non per questo meno importante, una concezione della cultura barocca ed ottocentesca che non fornisce alla gran parte dei triestini gli strumenti per scegliere e decidere sulla vita della nostra comunità.



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