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Porto di Trieste: si o no.
Scritto da: Teodor

Poche idee ma ben, assai ben, confuse.

Festa del PD all’Ausonia del 13 settembre, relatori il meglio del partito (Russo, Cosolini, Blazina e Zeno D’Agostino). Viene indicata e sollecitata come prioritaria per il Porto di Trieste la collaborazione con quello di Capodistria.

La “Leopolda” del PD di Trieste, stavolta il parterre del partito è composto da Isabella Demonte, Mariagrazia Santoro, Francesco Russo e Zeno D’Agostino. E’ il 26 settembre, tredici giorni esatti di distanza dall’altro incontro sempre targato PD, e il Commissario del Porto se ne esce con “Mettersi a tavolino per creare delle collaborazioni ad esempio con Capodistria è oggettivamente difficile”.

Capodistria si o no? Pare che in casa PD nemmeno su questo riescano a mettersi d’accordo.

In realtà è da decenni che attorno al Porto di Trieste si gioca una partita sporca.

Se qualcuno avesse pagato per tarpare le ali allo sviluppo del nostro emporio portuale non avrebbe potuto ottenere risultati migliori.

La storia della città, le sue fortune, il suo sviluppo e le sue crisi, sono sempre state legate indissolubilmente, nel bene e nel male, al porto. Senza rinvangare indietro nei secoli basta guardare una carta geografica per capire che il nostro porto e le sue propaggini, da Monfalcone a Capodistria, è, o meglio sarebbe, come lo è stato appunto in passato, il primo porto dell’Europa centrale.

In più beneficiato da una “zona franca” non solo e tanto per lo scarico merci ma soprattutto per la loro lavorazione manufatturiera (mi arrivano le “balle” di lana, io ne faccio maglioni e li reimbarco per la vendita: il tutto in regime di franchigia doganale!) che ne determinò le fortune nell’Ottocento, e primo decennio del Novecento.

Dagli anni Sessanta in poi si è assistito, complici pure gran parte delle categorie degli operatori portuali a partire dagli spedizionieri, tradizionalmente legati al centrodestra politico di Giulio Camber, invece ad un sostanziale immobilismo. Dove la Presidenza del Porto era uno dei più ambiti trofei della guerra per bande dei partiti per la conquista del sottopotere locale.

In questo scontro tribale praticamente tutti ne erano parte, financo i sindacati dei lavoratori portuali.

Forse l’unica eccezione ci fu alla fine degli anni Novanta con il tentativo, fallito ed osteggiato duramente da destra e sinistra, di Federico Pacorini.

Perfino l’allora “dominus” o uomo forte che dir si voglia della Regione, il democristiano Adriano Biasutti, fu costretto ad alzare bandiera bianca e se ne uscì con una amara ma veritiera battuta: “per far funzionare il porto giuliano dovrei nominare Presidente il friulano senatore Toros”.

Più volte a Trieste si sono affacciati importanti operatori della portualità mondiale: il caso più eclatante è quello di un gruppo di investitori coreani, tra i maggiori al mondo, per chiedere spazio e concessioni al fine di fare del nostro porto il loro terminale europeo.

Sono stati respinti dopo anni di inutile attesa, buttando al vento una fortuna per la nostra città.

Nell’Europa dominata dai porti di Amburgo e Rotterdam, Trieste sarebbe il loro concorrente più temibile e naturale per tutti i traffici diretti al centro Europa, e ritorniamo alla geografia per capirlo in un baleno. In più ci sarebbe appunto il Porto Franco Internazionale, e le banchine tra le più profonde dell’intero Mediterraneo che permettono un agevole attracco anche alle super porta containers.

La Ferriera, già cosa c’entra in tutto questo la vicenda della Ferriera.

Semplice, oggi i porti hanno sempre più bisogno di spazi per la movimentazione delle merci. Pensate che quello di Rotterdam ha 48 chilometri di banchine. Se si vuole dunque operare per lo sviluppo del nostro porto bisogna dunque recuperare tutte le aree che si affacciano sul nostro Golfo, a partire dall’inquinantissimo terrapieno di Barcola fino a Muggia.

In quest’area il sito occupato dalla morente fabbrica siderurgica è il più ampio e per di più per il sessanta per cento di proprietà demaniale sotto l’amministrazione proprio dell’Autorità portuale. Tanto è vero che già oggi, a Punta Loppa sullo Scalo Legnami, impedisce la partenza dei lavori della finanziata Piattaforma Logistica portuale.

Insomma fin che ci sarà la Ferriera addio sogni di gloria per lo sviluppo reale, non a chiacchiere, del Porto di Trieste. Addio a tantissimi nuovi e qualificati posti di lavoro.

E’ dunque in questo scenario che oggi si giocano le partite, vedi sdemanializzazione del Porto Vecchio per destinarne l’area ad altri usi, che decideranno il futuro della nostra Trieste, insomma di noi tutti, neonati, pochi, compresi.



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