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Il Rispetto.
Scritto da: Teodor

Si con la “R” maiuscola, perché la parola è impegnativa assai.

Quante volte ci siamo sentiti invitare, rampognare, richiamare al “rispetto per le istituzioni” da quei soggetti che queste istituzioni le guidano o rappresentano.

Dai politici verso il Parlamento, il Governo, le Regioni, i Comuni; dai giudici verso la Magistratura, da politologi e giureconsulti verso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, giù giù fino alle Prefetture.

Solitamente questi pistolotti sono sempre accompagnati da altri sull’autonomia e l’indipendenza dei poteri sanciti dalla nostra Costituzione. Che nel contempo quasi sempre gli stessi vogliono deturpare in nome della “modernità”.

Ora va detto con chiarezza una banalità talmente ovvia che però pare dimenticata: il rispetto uno se lo deve meritare, con atti e comportamenti virtuosi non con le belle e vuote chiacchiere. Il rispetto non è una investitura divina come si usava una volta dire dei Re “per volontà di Dio e della nazione”.

Ed allora dobbiamo interrogarci se moltissimi dei disastri che oggi ci coinvolgono non nascano proprio dalla mancanza di rispetto verso il “popolo sovrano”, e riusiamo accidenti questa parola desueta, da parte delle istituzioni che dovrebbero formalmente rappresentarlo e garantirlo, e dal quale esse traggono la ragione di esistere. Ed anzi più calpestano le loro funzioni più i rappresentanti di queste istituzioni si permettono, come i famosi “sepolcri imbiancati” o più semplicemente ipocriti, di dare lezioni di etica e di comportamento ai normali cittadini, che essi vedono più come sudditi che liberi individui.

Fatta questa premessa arriviamo al dunque. Ovvero a tre casi pratici che ci riguardano direttamente.

Uno è da manuale. Non c’è eletto o rappresentante istituzionale che al momento del suo insediamento o nomina non giuri sulla testa dei suoi cari, poverini, che “rappresenterà gli interessi di tutti i cittadini” anche di quelli che non lo hanno votato o che non simpatizzino per la realtà che si trova a rappresentare. Come vada prestissimo a finire non occorre ricordarlo, diciamo che va come per gli editoriali dei nuovi direttori del piccolo giornale, uguali in fotocopia salvo per data e firma, che giurano che il loro quotidiano “darà voce ai non garantiti” e sarà “il cane da guardia dei cittadini”.

Ed in effetti il chihuahua sdraiato sul divano ai piedi di Paris Hilton incute maggior paura di questi “molossi” padronali.

Gli altri due casi sono forse locali ma emblematici e significativi.

Il 5 gennaio scorso abbiamo inviato al Prefetto nonché Commissario del Governo per la Regione Friuli Venezia Giulia, Maria Adelaide Garufi, una richiesta formale, a termini di legge insomma, per conoscere il prezzo pagato da Arvedi e/o Siderurgica Triestina per l’acquisto della Ferriera di Trieste da un Commissario governativo. L’ingegner Nardi nominato dall’allora Ministro Passera del Governo Monti liquidatore della fallita Lucchini Italia, e condannato pochi mesi fa dal Tribunale di Taranto, in primo grado, ad otto anni e sei mesi (8 anni e 6 mesi !!!) più congruo risarcimento pecuniario, perché ritenuto responsabile della morte di una decina di lavoratori quando dirigeva l’Ilva appunto di Taranto.

Fermiamoci un attimo. Voi penserete che il signore si sia dimesso un istante dopo, anche se in tutto il mondo civilizzato, Burkina Faso compreso, lo avrebbe fatto già al momento del rinvio a giudizio, o che il Governo guidato dal distributore di “daspo” ai corrotti e condannati, Matteo Renzi, lo avrebbe destituito sui due piedi alla lettura della sentenza. Sbagliato. Il signore in questione sta ancora lì, pagato dal denaro pubblico. Della serie appunto de “l’onore e il rispetto”.

Ma torniamo al Prefetto di Trieste. La legge impone che entro sessanta giorni l’istituzione pubblica risponda. Ebbene dopo due altri solleciti da parte nostra a metà aprile riceviamo una letterina, cartacea, in cui ci si comunica che il Prefetto ha inoltrato or ora la richiesta di maggiori informazioni al Ministero dell’Economia, ed a oggi, 5 settembre, nessuna nuova ci è pervenuta.

E’ questo il rispetto della legge da parte delle Istituzioni? E’ questo l’esempio che trasmettono ai cittadini dai quali rivendicano nei discorsi annuali il rigoroso rispetto verso le Istituzioni statuali?

Ne abbiamo parlato nel corso dell’inutile audizione della Commissione Ambiente del Senato in Prefettura, insomma nella “tana del lupo”, alla presenza silente dei due parlamentari triestini ex Cinque Stelle a far da tappezzeria. Giusto per chiarire i fatti a difesa, ma guardate cosa ci tocca fare, proprio delle Istituzioni.

Mai saputo più nulla, come nessuno dei politici locali e regionali ha mai chiesto l’allontanamento del “commissario” Nardi da quell’incarico, anche per evitare di incontrarlo ed ospitarlo nella sede della Regione, in Prefettura o peggio nel Municipio di Trieste.

Silenzio tombale, mai parola è più azzeccata, anche dai sindacalisti.

Terzo ed ultimo caso di “rispetto”, o meglio di una sua mancanza totale: le 10.280 firme di cittadini della nostra provincia (ce ne sono pure un centinaio di residenti a Monfalcone e Grado ed una cinquantina a Capodistria) in calce alla petizione che riportiamo integralmente:

Fermiamo l’inquinamento: per la nostra salute e la nostra vita.

I sottoscritti cittadini della provincia di Trieste chiedono:

- l’immediata chiusura dell’impianto della Cokeria della Ferriera

- il fermo dell’Altoforno, dell’impianto di agglomerazione e della macchina colare,  per la verifica        del rispetto integrale delle prescrizioni sui lavori da effettuare indicati nella perizia della Procura e nelle prescrizioni regionali.

- Il mantenimento dei livelli occupazionali attraverso l’impiego del personale nelle operazioni di rimozione della Cokeria e delle bonifiche e messe in sicurezza. E Aiutaci ad aiutarti.

Salviamo il Circolo Miani come chiedono anche Claudio Magris e Gherardo Colombo.

Dopo sedici anni di inerzie, silenzi quando non complicità, la politica invece di eliminare l’inquinamento in uscita dalla Ferriera che investe pesantemente tutta la nostra provincia da Muggia a Roiano, dando a Trieste il primato nazionale per morti da tumore e da patologie alle vie respiratorie, e combattere il degrado delle nostre periferie, tenta di chiudere il Circolo Miani sfrattandolo dalla sede che da decenni ospita gratuitamente tanti nostri concittadini.

Dopo una fastosa quanto formale cerimonia, il 18 maggio, di consegna delle firme in Regione, al Presidente del Consiglio Iacop, affiancato dai consiglieri triestini Rotelli ed Ussai, ad oggi se ne è persa la traccia e non è stata ancora nemmeno fissata la calendarizzazione della discussione nelle commissioni competenti (per inciso ambedue a guida PD, Boem e Codega. Sarà un caso? Ma gli altri che fanno?). Idem dicasi per il Consiglio comunale dove non è stata neppure allestita la “cerimonia” di consegna. Pregevole di nota il comportamento dell’assessore regionale Santoro, sempre PD, che non ha voluto nemmeno riceverci, in nome appunto della “trasparenza e partecipazione” e del rispetto delle leggi che la stessa Regione si è data in materia.

Deve essere la maledizione del Circolo Miani e della Ferriera, peggio di quella di Tutankhamon, che fa dire ad alcuni ebeti che le firme non valgono un fico secco perché sono corredate “solo” dall’indirizzo di residenza dei sottoscrittori e non dagli estremi del documento d’identità, neanche fossero pagati da Arvedi, oppure ignorate da un Sindaco che da tempo in campagna elettorale non le  riconosce nemmeno un decimo di dignità delle 5.000 raccolte contro la ridicola pedonalizzazione di via Mazzini. Sarà forse che lì c’era in ballo mezzo mondo politico e non la salute ed il lavoro dei triestini.

In una società dove la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni è al minimo storico questi atteggiamenti approfondiscono, semmai sia possibile, l’abisso e rappresentano una violenza, ben peggiore in quanto istituzionale ed in “guanti bianchi”, di quella addebitata ai cittadini per una manifestazione o corteo “non autorizzati”, anche se la Costituzione non le prevede, le autorizzazioni ma solo le comunicazioni, con l’aggiunta di accuse di “eversione” che sembrano uscire dritte dritte dal Codice fascista Rocco.



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